300 Parole 2025: scadenza 31 ottobre

Freddy e gli altri

Da Freddy Krueger che graffia la carne nel sonno, ai demoni che emergono da universi speculari, il cinema horror ha costruito un repertorio di creature capaci di violare il confine tra mondo onirico e realtà. Ma come si può tradurre tutto ciò in termini scientifici? E, soprattutto, si può?

I sogni esistono, partiamo da qui. Sono processi cerebrali osservabili, particolarmente attivi nella fase REM [Rapid Eye Movement], caratterizzata da forte attività corticale e da una vivace rielaborazione emotiva e mnestica. Anche il fenomeno del sogno lucido mostra che la mente può, in parte, modulare il contenuto onirico: questo rende la dimensione onirica un terreno narrativo plausibile ed estremamente fertile. Tuttavia, l’idea che un contenuto sognato possa materializzarsi nel mondo esterno — che un’entità nata nel sonno profondo esca dalla mente e agisca sulla materia — incontra ostacoli enormi sul piano fisico. Inoltre, messa in questi termini la questione non è neanche pertinente al nostro caso, perché le entità considerate non si configurano quali mere proiezioni oniriche o creazioni della psiche dei protagonisti, bensì quali esseri dotati di una propria autonoma esistenza, i quali utilizzano il sogno come canale per trasferirsi dal loro mondo al nostro.

Eh, ma la meccanica quantistica...
No. La meccanica quantistica è spesso usata nel cinema e nella narrativa come scorciatoia, approfittando del fatto che la maggiore parte delle persone ancora non ha capito bene in che consista. Tuttavia, un simile richiamo, in questo contesto, vorrebbe dire fare un torto a tutti gli scienziati da Planck in poi che devono fare i conti ogni giorno coi travisamenti del loro lavoro. In coscienza, non me la sento. Inoltre, se davvero lo scopo di questo articolo è ipotizzare una plausibilità scientifica dei mostri interdimensionali, allora è preferibile abbandonare il ricorso a espedienti inflazionati e osare oltre i consueti schemi interpretativi [faremo comunque più di un torto alla scienza vera, facendo mettere le mani tra i capelli a qualcuno, sia chiaro, ma almeno eviteremo di chiamare in causa sempre agli stessi nomi].

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Quindi, non potendo ricorrere alla scorciatoia quantistica, ho provato a immaginare il sogno non come mera rielaborazione di esperienze vissute durante la veglia, ma come eco di un campo di energia psichica allocato in un altrove ancora indefinito. Un dominio informazionale in cui confluiscono tutti i processi elaborativi del cervello, sia sotto forma di pensieri autonomi sia come reazioni agli eventi esterni. In questo scenario, l’inconscio individuale diventa un sottodominio di un più ampio dominio collettivo, con cui può scambiare informazioni. Questa prospettiva richiama, da un lato, certe intuizioni delle filosofie orientali sulla coscienza universale e, dall’altro, le teorie di Jung sull’inconscio collettivo popolato da archetipi condivisi. In entrambe le visioni, i sogni non appartengono soltanto all’individuo, ma a una trama comune che attraversa tutti noi.

Se immaginiamo ora che l’eco generata dal sogno venga rielaborata dal cervello e modulata dalle nostre reazioni emotive, essa genera una controeco che impatta sul dominio originario, modificandolo. Così un’immagine onirica può caricarsi di energia psichica fino a influenzare la mente del sognatore, innescando una catena di retroazione per la quale un incubo ricorrente aumenta ansia e vigilanza, rafforza la memoria e predispone a ulteriori rievocazioni, intensificando il sogno stesso. L’entità onirica, quindi, non resta confinata nella mente che l’ha generata, ma può modulare l’attività cerebrale, alterare percezioni e persino produrre effetti fisici reali.

Il dominio collettivo, attraverso lo scambio continuo di informazioni con i sottodomini privati dei singoli individui, accumula nel tempo tracce stratificate. Queste sedimentazioni non sono semplici residui culturali, ma configurazioni dinamiche che si riorganizzano in base alle risonanze emotive e cognitive del gruppo sociale. Freddy Krueger, i mostri lovecraftiani, le entità che popolano l’immaginario horror non sono necessariamente il frutto di una singola mente creativa. O forse sì. Il punto è che possono emergere anche come archetipi auto-organizzati, generati dalla ripetizione, dalla suggestione e dalla retroazione collettiva.

È un processo simile a quello che, nella teoria dei sistemi complessi, descrive l’emergere spontaneo dell’ordine dal caos. In presenza di determinate condizioni energetiche — tensione emotiva, coerenza narrativa e pressione ambientale — il campo psichico collettivo tende verso configurazioni stabili, forme che si ripetono, si consolidano e finiscono per acquisire una propria autonomia simbolica. In questo senso, l’archetipo non è un’invenzione ma una convergenza, un punto di equilibrio tra le paure individuali e le strutture profonde dell’immaginario collettivo.

E poi c’è l’ultima, inquietante implicazione.
Se il campo onirico è davvero [in parte] condiviso — un altrove psichico collettivo dove sogni, paure e archetipi si mescolano e si organizzano — allora quello che ne emerge qualcuno, da qualche parte, deve avercelo messo. Ogni mostro che ci visita, ogni figura che si affaccia dal bordo del sonno, è il risultato di una sedimentazione, una traccia lasciate da menti che hanno immaginato, temuto o desiderato quella cosa. E se la retroazione funziona, se il sogno può tornare a influenzare la realtà, allora non siamo solo spettatori. Ne siamo creatori e responsabili. Il vero orrore, allora, non è che il mostro esca dal sogno.
Ma che ci somigli.
(Oreste Patrone: 29 settembre 2025)



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