In coscienza eterna

2° classificato al concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2020 - edizione 19

Costretta a letto, non sapeva cosa le facesse più paura. Se la morte, che in tutta probabilità la stava sorvegliando ostinata, accanto al giaciglio, oppure dover restare sola di notte, quando il buio avvolgeva la camera e si faceva denso come petrolio. Morte e oscurità puzzavano allo stesso modo. Ad aumentare l’angoscia, gli incubi la tormentavano. Ragni sul petto, dentro le orecchie, larve a strisciarle sulla faccia. Serrava i denti per non ritrovarsi a doverli ingoiare.
A volte, persa nei deliri, ci metteva un po’ a riconoscere la badante assunta dai servizi sociali perché nessun familiare poteva occuparsi di lei, che si rifiutava di lasciare l’appartamento. Ma non era colpa sua se la cosa dentro di lei si era fatta una tonnellata, appena avevano provato ad adagiarla sulla barella per portarla via. La badante aveva capito, aveva occhio per certe cose. E si era portata appresso il sacerdote.
Sprazzi di dialogo le avevano fatto intendere che forse non tutto era un’allucinazione causata dall’infermità.
«Potrebbe peggiorare le cose» aveva detto l’uomo.
«La salvi, padre. Salvi questa povera donna».

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E dopo “Spirito Santo” e mani giunte in preghiera, parole e immagini erano state risucchiate da un buco nero, insieme al materasso su cui era distesa. Rimase il dolore, straziante da perdere la testa. Le pareva di vomitare vocaboli, involontari e incomprensibili, e un liquido che le bagnava il mento e puzzava come morte e oscurità. Se le capitava di aprire gli occhi, la stanza era invasa da lunghe ombre nere, e voleva che smettessero di mormorare di continuo, con quella modulazione funebre.
Smise all’improvviso, in qualche modo. Precipitò nella consapevolezza.
«Non possiamo fare più niente per lei. Adesso è con Dio».
Invece lei era ancora lì. Abbandonata dal Dio del prete e dal demonio che l’aveva posseduta. Cosciente e immobile per sempre.

Olga Gnecchi



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