In questa landa che nessuno visita mai, sotto la quercia che affonda le sue radici nel mefitico terreno sconsacrato succhiando linfa nefasta, concimata dai morti abbandonati. Ai cui rami robusti penzolano dozzine di corde, sotto ciascuna di esse un impiccato langue nel terrificante abbandono della morte. In questo luogo desolato, solo il boia mette piede, neanche i becchìni osano farci visita, lasciando i nostri corpi appesi fino a che non divengono scheletri spolpati dai corvi.
Il boia vive in un capanno nel bosco poco distante, è un essere abbietto sia nel corpo che nello spirito, è sporco, dal volto sfregiato a cui qualcuno un tempo ha strappato via il naso con qualche attrezzo di tortura. Quando viene morso dal capriccio, favorito dall’estrema solitudine di questo luogo silente, ove si ode solo lo stridio delle corde, il frusciare delle foglie e l’ululato del vento, egli giunge al mio albero completamente nudo; si arrampica su una scala marcia, con l’aiuto di un coltellaccio arrugginito taglia la corda avvinta al mio collo, lasciando cadere pesantemente il mio corpo sulle foglie, senza curarsene minimamente, come se io fossi una bambola inerte e priva di valore alcuno. Approfittando delle mie già evidenti nudità e della mia totale incapacità di movimento mi possiede carnalmente, facendomi cose orribili, sussurrandomi all’orecchio atrocità indicibili, violando ogni orifizio e ogni intimità, dissacrando perfino la mia presunta morte. Sì, perché io sembro morta da settimane, ma in realtà, per chissà quale oscuro incantesimo malefico, io non lo sono, sono perfettamente cosciente durante questo suo stupro necrofilo, ma il mio corpo resta inerte, non riuscendo a muovermi né a proferire verbo sono costretta a subire le viscide spinte e gli affanni dal fiato nauseabondo di quell’uomo esecrabile. Quando infine ha scaricato dentro me il seme del demonio che striscia nel suo ventre, mi stringe una nuova corda al collo e con la forza di un bruto issa nuovamente il mio corpo sul ramo nodoso della quercia, al quale faccio da pendaglio fino alla sua prossima voglia.
INCUBO POST-APOCALITTICO DI TIM CURRAN
Dopo l’olocausto nucleare, un gruppo di sopravvissuti si rifugia nel bunker progettato da Lilian, un nascondiglio sicuro fatto di acciaio e piombo... o così sembra. Con un ritmo incalzante e un’atmosfera claustrofobica, Aftermath incalza tra spettri di follia e oscuri desideri, trascinando il lettore in un’odissea dove la più grande minaccia non è la radioattività… ma il male che si cela nell’animo umano. Disponibile in ebook e cartaceo entrambi illustrati.
Eterna solitudine compone i miei giorni tra questi morti impiccati, è quasi un anno che sono qui e non mi decompongo, il mio corpo resta florido e questo piace al boia, anche se l’ho visto giocare con altri cadaveri, con carcasse a cui già la carne putrida esponeva l’osso. Noi siamo i suoi balocchi e questo è il suo regno di follia. Il tempo sembra immoto ed eterno nei giorni normali, ma di tanto in tanto giunge un nuovo condannato, molta gente accorre dai villaggi vicini per godersi l’esecuzione, per me sembra un giorno di festa, non sopporto più questa solitudine.
Il mio ventre è gonfio e il Boia non se ne accorge, forse è distratto dai nuovi arrivati. Qualcosa si agita nelle mie viscere, sotto la luna piena, in una notte demoniaca ho capito di avere una vita scalciante dentro me.
Il frutto diabolico degli abusi del pazzo viene alla luce in una notte di luna piena, non vagisce, non urla, come fosse figlio della morte anch’egli. Assecondando uno stravagante prodigio si arrampica strisciando sul mio corpo nudo, avvinghiandosi avidamente alla mie mammelle, gonfie di un tetro latte cimiteriale e mortifero.
Pasce così la progenie mostruosa, è un maschio! Diviene sempre più alto e forte, giorno dopo giorno, nascondendosi tra le querce e all’ombra dei pini, scampando allo sguardo del boia.
Una mattina, ai grigi colori di un alba autunnale, il piccolo giunse sotto il mio albero con in mano la testa recisa del boia, il padre degenerato era stato decapitato nel sonno, senza che neanche potesse accorgersi di avere un figlio, nato dal cadavere empio d’un’impiccata di cui aveva violato i resti.
“Mamma, è per te!”
Disse il mio bambino porgendomi la testa del boia che irrorava di sangue la terra dei condannati.
Spero che nessuno trovi il ragazzo nei dintorni, non capirebbero, in fondo è un’anima così innocente. Finirebbero per condannare anche lui, l’ultima cosa che vorrei è trovarlo qui di fianco al mio ramo, a penzolare insieme a me in questa eterna solitudine.
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