Pesci pallidi

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2022 - edizione 21

Al risveglio Tommaso allunga una gamba. Realizza di essere ancora vestito.0
È rientrato tardissimo, si è gettato subito nel letto.
Inquadra il portacandele circolare appeso al soffitto. Nessuna fiamma. Riconquista la realtà e un pensiero scende dal cervello gonfiandogli il petto.
Non ha spento l’interruttore!
Si concede una frettolosa sciacquata prima di recarsi dal sindaco e chiedere di non sospendergli l’elettricità.
Mentre si asciuga avverte quel rumore. Un toc sordo, ciclico. Non disturba le orecchie, arriva dritto al cervello e lì si amplifica fino a eliminare qualsiasi altra percezione.
Corre alla finestra, li vede.
Esce in strada e si trova circondato da un drappello di figure silenziose, ammassato sotto la sua finestra. I cosiddetti pesci pallidi. I vecchi abitatori della montagna. Rimasti isolati per anni senza alcun tipo di energia si sono rintanati nelle viscere delle montagne. Sono usciti cambiati, secchi.

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Occhi sbarrati nel vuoto. Muti. La pelle è trasparente e sottilissima al punto che Tommaso intravede le ossa e il celeste delle vene. Fanno una sola cosa. Come fossero un coro aprono e chiudono le labbra producendo quello schiocco sordo. Una bolla che esplode o la grottesca imitazione di una ventosa. Ogni tanto dalle bocche fuoriesce un filo di saliva. Sembrano pesci fuori dall’acqua che boccheggiano. La chiamano fame di energia. La regola è utilizzare l’elettricità per massimo sessanta minuti consecutivi. Poi usare solo candele. Loro la percepiscono anche da grandi distanze. Arrivano, rimangono a ciondolare per ore, infine se ne vanno, in attesa che una nuova fonte li attiri. Camminano come marionette disassate. Fanno impressione ma non sono minacciosi, pensa Tommaso mentre si allontana. Si tratta solo di un incontro suggestivo da raccontare agli amici.
Non fa caso alle teste che lentissimamente si voltano verso di lui, come a inseguire un pensiero.

Andrea Cavallini



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