Talassofobia

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2021 - edizione 20

Le distese d’acqua mi terrorizzano. La sola idea di allontanarmi dalla riva mi provoca palpitazioni, nausea, e un forte mal di testa. Da piccolo, se solo un’alga o un piccolo pesce mi sfiorava il polpaccio, un’isteria incontrollata mi prendeva ed era impossibile calmarmi se non dopo lunghi minuti. Nella mia mente, il mare era, ed è tutt’ora, una massa fredda, scura, e ostile. Un brodo brulicante di creature viscide e affamate.
Non amo parlare di questa mia paura. Come tutte le debolezze, va nascosta. Un vero uomo è forte. Un vero uomo deve poter pretendere ciò che vuole e la sua forza è la chiave per avere quello che desidera. E quello che desidero è Arianna. Quanto strillava e si agitava quando l’ho fatta mia. Oggi, invece, mi invita a raggiungerla nel suo atelier. Chissà quali perverse fantasie da artista le ispira quel cazzo di posto. È proprio vero che le donne sono puttane. Non lo dicono ma nulla le eccita quanto il sesso ruvido.
La porta dell’atelier si apre cigolando.
“Arianna?”
“Vieni, sono qui dietro”

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L’atelier è in penombra e pieno di quadri posti su cavalletti, come ad una mostra. Tutti paesaggi: altopiani innevati, città esotiche, foreste dai fiori alieni.
“Vieni, guarda. L’ho dipinto per te”. La sua voce è stranamente determinata.
Il dipinto è molto scuro, nella stanza buia devo avvicinarmi per vederlo bene. Quando i miei occhi si abituano alla penombra, la mia fobia mi paralizza davanti all’immagine di un acquitrino che si estende a perdita d’occhio sotto una luna pallida. Mentre sono chino, sento le mani di Arianna spingermi contro il quadro, spingermi dentro il quadro! Atterro nella fanghiglia con l’acqua che mi arriva all’inguine. Mi giro tremante e furioso per ammazzare quella troia ma la biancastra luce lunare rischiara solo un’infinita distesa torbida.

Matteo Antonini



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