Riuscii a vedere di nuovo. Ero finalmente consapevole di fissare una macchia di muffa sul soffitto, ragnatela verdastra sulla base dell’intonaco bianco. La guardavo, e la mia mente riacquistava lucidità e consapevolezza. Sentivo d’essere rimasto ad occhi aperti troppo a lungo: il corpo reclamava che io sbattessi le palpebre. Fu meno facile del previsto: mi sembrava che l’immobilità oculare avesse creato come una patina dura e dolorosa, e all’inizio fu tutt’altro che piacevole quando riuscii a chiudere gli occhi. Sospirai, ma me ne accorsi solo quando il petto s’era già abbassato autonomamente.
Faticavo ancora a pensare con chiarezza: dietro le palpebre chiuse, mi tormentavano rosse immagini danzanti, fuochi pulsanti persi in antichi spazi siderali. Nelle orecchie, il ronzio del Vuoto e litanie nelle lingue dell’Origine.
Un odore pungente e particolarmente piacevole arrivò alle narici: qualcosa che confermava che ero lì, vivo, di nuovo me stesso. Decisi di sforzarmi di vedere in quali condizioni fossi, ma cercare di girare il collo non portò risultati. Chiusi nuovamente gli occhi, con meno fatica stavolta, scacciai le immagini che apparivano fugacemente ai lati del campo visivo come guizzi di ciò che era stato, e mi concentrai, udendo in sottofondo le voci ovattate che si rallegravano al piano di sotto.
INCUBO POST-APOCALITTICO DI TIM CURRAN
Dopo l’olocausto nucleare, un gruppo di sopravvissuti si rifugia nel bunker progettato da Lilian, un nascondiglio sicuro fatto di acciaio e piombo... o così sembra. Con un ritmo incalzante e un’atmosfera claustrofobica, Aftermath incalza tra spettri di follia e oscuri desideri, trascinando il lettore in un’odissea dove la più grande minaccia non è la radioattività… ma il male che si cela nell’animo umano. Disponibile in ebook e cartaceo entrambi illustrati.
Sentii la pulsazione del cuore, raccolsi i pensieri ancora di più, ascoltai il sangue scorrere nelle vene. L’odore, i suoni, la vista di quel mondo alieno e familiare erano tormento e delizia per me. Strinsi e rilasciai i pugni più volte, poi decisi: era ora che il gioco ricominciasse. Con tutte le forze che avevo, urlai, e attesi.
Una corsa sulle scale, il volto preoccupato del prete alla porta della stanza: lo accolsi col mio sorriso ferino più convincente.
<<Pensavi d’avere vinto?>> chiesi, sbavando materia verdastra sul petto del corpo che possedevo.
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