Il fiume della Vita

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2020 - edizione 19

Samburu mi fissava, un po’ stupito, ma con il suo sguardo risoluto di sempre.
«Ascolta, Samburu, se non lo facciamo noi due, non lo farà nessuno, dobbiamo dirimere questo mistero, io e te, che ne dici? In fondo è un compito da vero cavaliere!»
Alla parola “cavaliere” a Samburu brillarono gli occhi.
«Va bene, accetto, domani all’alba partiremo.»
Fuori dall’entrata della capanna vedevo il fiume della Vita.
Finalmente sapremo.

Il sole era appena sorto e, io e Samburu osservammo il fiume.
«Risaliremo il corso, più in su sarà più piccolo e più facile da guadare.»
Il fiume della Vita era sempre stato il mistero nascosto della nostra tribù. I vecchi dicevano che, al di là del fiume, c’erano solo morti viventi. Di fronte al nostro villaggio c’era un villaggio dei loro, li vedevamo, si muovevano come noi, pareva che facessero le stesse cose che facciamo noi. Ma loro erano morti e noi eravamo vivi. Il fiume era troppo impetuoso per poterlo varcare e nemmeno si poteva ascoltarsi, tra le due sponde, a voce. Io e Samburu ne avremmo risalito il corso, fino a trovare un guado e a parlare con loro. Era il nostro compito di giovani aspiranti cavalieri.

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Dieci giorni cavalcammo, superammo colline e monti, il fiume era sempre alla nostra sinistra, invalicabile, irruento, impetuoso. Poi altri dieci giorni. I monti da cui aveva origine erano lontani all’orizzonte e nessun guado, nessuna secca ci aiutava. E altri dieci giorni, nel deserto che il fiume attraversava, ma non rendeva fertile. Poi fu la foresta, intricata, e dopo la foresta, ancora deserto. Le montagne erano ancora lontane. Altri dieci giorni cavalcammo e la sera ci addormentavamo sempre più presto.

Successe il quarantacinquesimo giorno.
Mi svegliai, il fiume era alla mia destra.
Samburu mi osservava dall’altra sponda.

Lodovico Ferrari



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