L'arto

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2020 - edizione 19

Antonella non dormiva ancora quando sentì un tonfo. Accese l’abatjour ed Ettore alzò la testa in fondo al letto. Antonella ritrasse i piedi da sotto il corpo del gatto, li infilò nelle pantofole, e andò in soggiorno.

Sul tavolino, la scatola era aperta. Il coperchio a terra come se qualcosa l’avesse spinto da dentro...
Smettila di fantasticare, hai solo bisogno di riposo.
Effettivamente era stata una giornata stressante...

Quella mattina, quando l’addetto alle pompe funebri le aveva chiesto come preferiva procedere, lei non aveva esitato e aveva chiesto la restituzione dell’arto artificiale di suo marito prima che la salma venisse cremata. Non le sarebbe dispiaciuto collocarlo bene in vista, così avrebbe potuto rivolgersi alla protesi dicendo: “Finalmente te l’ho fatta, non mi tocchi più.” Per l’addetto non c’erano stati problemi, e le aveva consegnato l’avambraccio in una scatola, avvolto in carta di giornale.

Adesso, però, l’arto non era più avvolto nella carta, ma sopra di essa come se si fosse spacchettato da solo. “Sarà successo durante il trasporto” mormorò.
Chiuse la scatola e tornò a letto.

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Sì, pensava addormentandosi, te l’ho proprio fatta.
Lo stramonio aveva agito istantaneamente.
Osservarlo morire con la bava alla bocca mentre si trascinava sul parquet l’aveva riempita d’emozione.
Anche Ettore aveva apprezzato.
“Vero amore?” sussurrò nel sonno.
Il gatto rispose con uno spasmo. Lei accese la luce e lo vide sulle coperte col collo storto e gli occhi sporgenti. Si protese per toccarlo, ma la camicia da notte s’impigliò in qualcosa. Diede uno strattone, la sentì strapparsi.
Si voltò e lo vide spuntare da sotto il cuscino col pezzo di stoffa tra le dita.
Antonella riempì i polmoni per urlare, ma l’arto guizzò come una murena. Le afferrò la gola piantandole le dita artificiali nella carne e strinse forte troncandole il grido.

Filippo Santaniello



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