300 Parole 2025: scadenza 31 ottobre

Ce n'è per tutti

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2020 - edizione 19

Fermo in colonna, coi tergicristalli al massimo, Filippo si chiese che cazzo ci faceva lì. Avrebbe dovuto iscriversi in palestra, come facevano i suoi colleghi. Bruciare qualche chilo, invece di perdere tempo nel traffico.
Ingranò la prima, fece pochi metri e si fermò. Di nuovo.
Bar Indios... Non aveva mai notato quell'insegna prima. Parcheggiò ed entrò nel locale.
C'erano otto o nove clienti – si voltarono tutti. Filippo si avvicinò al bancone. Pareti e soffitto erano rivestiti di legno, un mascherone in pelle di qualche cultura mesoamericana svettava tra le bottiglie.
Faceva caldo. Filippo si levò il pullover, ma la camicia si sollevò di qualche centimetro; se la rimise nei pantaloni, nascondendo la pancia. Una signora sulla sessantina lo guardò male, con un filo di bava alla bocca.
«Che ti servo?»
La barista aveva sui 25 anni: viso pulito, frangetta sulla fronte... La classica universitaria costretta ad arrotondare in un bar di paese. Sorseggiavano tutti un intruglio rossastro - Bloody Mary, forse.
«Una birra, ma... si può anche mangiare qui?»
«La cucina apre proprio ora» disse strizzandogli l'occhio.

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Dopo l’olocausto nucleare, un gruppo di sopravvissuti si rifugia nel bunker progettato da Lilian, un nascondiglio sicuro fatto di acciaio e piombo... o così sembra. Con un ritmo incalzante e un’atmosfera claustrofobica, Aftermath incalza tra spettri di follia e oscuri desideri, trascinando il lettore in un’odissea dove la più grande minaccia non è la radioattività… ma il male che si cela nell’animo umano. Disponibile in ebook e cartaceo entrambi illustrati.

Filippo sperò che almeno lei non avesse visto la sua ciccia. La barista gli porse un menu rivestito in pelle – era pesante, come la carta dei vini di un ristorante stellato. A quel pensiero, Filippo sorrise.
Voltò la copertina e si trovò davanti... uno specchio. Si guardò intorno, doveva essere uno scherzo. I clienti si erano fatti vicini, avevano gli occhi sgranati e la lingua fuori dai denti.
«Ho... dimenticato il cellulare in auto» disse indietreggiando.
Arrivò alla porta – in due lo afferrarono per le spalle e lo sbatterono a terra. La vecchia gli montò sul petto e gli leccò un orecchio, ansimando.
«Tranquilli, ce n'è per tutti» disse la barista da lontano. «Portatemelo in cucina.»

Mattia Bertoldi



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