Alter ego

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2019 - edizione 18

La mia colpevolezza fu dimostrata al di là di ogni ragionevole dubbio.
Il reato non aveva importanza perché la condanna era uguale per tutti. Mi presero e mi trascinarono nella stanza dove mi aspettava la sedia. Mi legarono e mi applicarono gli elettrodi sul cranio rasato, poi attivarono la scarica e infine mi slegarono e mi lasciarono tornare a casa dicendomi che ero un uomo libero.
Mi sentivo bene e in cuor mio mi illudevo che il trattamento non avesse funzionato, che le voci che circolavano non fossero vere.
Quella notte mi addormentai subito e quando mi svegliai di soprassalto capii di essermi sbagliato.
Lui era lì, in piedi accanto alla finestra, nel chiarore delle prime luci dell’alba. Il corpo nudo, ingobbito e quasi scheletrico, emanava un odore di morte e putrefazione. La pelle cinerea del volto era solcata da profonde rughe mentre gli occhi piccoli e arrossati fissavano il vuoto con l’espressione di un folle.
Aveva i miei lineamenti. Ero io. Un me stesso corrotto e malvagio privo di qualunque traccia di umanità, oscuro prodotto del male che avevo fatto, delle colpe che avevo commesso.
Sapevo che era una proiezione mentale indotta dal trattamento e che per questo non mi avrebbe mai fatto male fisicamente, ma questo non diminuiva la mia inquietudine.

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Sapevo che percepire la sua presenza in ogni istante mi avrebbe consumato dentro giorno dopo giorno.
Sapevo che avrei sentito il suono del suo respiro, simile a un rantolo, per tutto il resto della mia vita e che i suoi sussurri osceni avrebbero violentato per sempre le mie notti insonni.
E tuttavia tentai di sopravvivere. Di non rassegnarmi. Di lottare contro l’orrore.
Ma oggi, dopo tanti anni di questo tormento, osservo allo specchio il mio corpo e il suo al contempo.
E non scorgo più alcuna differenza.

Marco Fornari



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