Il vento sulla pelle

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2019 - edizione 18

Terbio martella la roccia. Le dita nodose, madide di sangue, sono ormai incollate al manico dell’utensile. Pensa alle ultime parole dell’amata Lantania - Voglio vedere il cielo - che ancora pendolano nella sua testa e squarciano la fatica.
Nessuno è mai tornato e le leggende sugli abitatori della superficie, più numerose delle stalattiti nelle caverne, sono un potente richiamo per la nona generazione che vive sottoterra. Giganti, mostri alati, perfino esseri senza forma.
Avverte la consistenza della pietra degradare. Un ultimo colpo ed è fuori.
La visione dello spazio aperto è un capogiro che lo travolge. Le stelle e il disco della Luna, cose di cui ha solo sentito parlare, producono una luce debole che mette in evidenza un’immensa vallata deserta. Brandisce lo scalpello in attesa di un attacco, ma non vede nemici, solo sciami di schegge biancastre che grattano il suolo disegnando ghirigori smossi da un vento leggero che agisce, stranamente, solo in basso. Terbio raccoglie una manciata di polvere, la riconosce e resta agghiacciato: ossa frantumate! All’improvviso il soffio cessa e i ghirigori precipitano a terra. Terbio percepisce una sferzata d’energia, come se una sentinella invisibile si fosse accorta della sua presenza.

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Avverte un fischio e subito dopo un dolore al volto, come uno schiaffo inferto da una forza misteriosa. Il vento cresce e inizia a turbinare intorno a lui, fasciandolo come un serpente strangolatore. Stringe sempre più forte. In pochi secondi le braccia che hanno sconfitto la pietra rimangono appiccicate al petto nella stessa postura di un neonato. La bocca tenta invano di affidare la sofferenza all’aria. Terbio è una mummia, le bende sono folate che lo schiacciano con una forza da accartocciare i muscoli e frantumare le ossa.
Le orecchie, prima di sbriciolarsi, registrano l’eco di una risata crudele.

Andrea Cavallini



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