Tassidermia

2° classificato al concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2018 - edizione 17

L’accordo era più o meno questo: dopo la mia morte avrebbe avuto il mio corpo a sua completa disposizione. Io, il più ricco commerciante del Regno di Sicilia, lui, Alfredo Salafia, il più bravo imbalsamatore vivente, custode dei segreti della conservazione perfetta, che si diceva essere talmente bravo che i corpi da lui trattati sembravano non aver ancora restituito l’anima al Padreterno!
Tutti soddisfatti quindi. Il mio corpo sarebbe rimasto intatto negli anni a riprova della mia fama e della mia grandezza, e lui avrebbe aggiunto un tassello “illustre” alle sue creazioni.
Poi quel dolore improvviso al petto, e per un po’ fu il buio. Poi l’inferno nel quale da cent’anni sto bruciando senza consumare.
Devo ammettere che eri bravo Salafia, eri veramente il più bravo. Mi chiedo solo se eri pienamente cosciente degli effetti collaterali che il tuo trattamento comportava. I bulbi di vetro che ho come occhi riescono infatti a vedere i curiosi che vengono a visitare la cripta, le mie orecchie, che hai riempito di garza medica e formalina, sentono i loro commenti esterrefatti davanti a tanta perfezione. Le mie narici, che hai tappato con la cera, sentono l’odore della chimica di cui le mie carni sono intrise, ma le mie labbra, che hai cucito dall’interno, non riescono a gridare la disperazione dell’anima, rimasta imprigionata in questo corpo.

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Dunque non riuscite proprio a scorgere l’agitazione che si cela dentro questo fantoccio impagliato senza più viscere nè sangue? Non udite le mie inutili preghiere, l’orrore del mio supplizio? Guardatemi! Non vedete la mia vita?
Chissà se anche la piccola Rosalia, che sembra dormire tranquilla nella teca qui a fianco, piange inascoltata in questo inferno.
Sì, perché di certo questo è l’inferno: il posto dove nessuno può sentire lo strazio delle tue grida.

Edoardo Barea



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