La prima cosa che mi colpì nel dottor Loviado fu la puzza. Non capii come potesse muoversi all’interno di un ospedale, un uomo che sembrava essere stato ricoperto da escrementi umani e immondizia. Alto almeno due metri, con un camice bianco immacolato e un sorriso talmente verdastro da assomigliare alle radici delle mangrovie. I suoi capelli ricci erano neri e i suoi occhi di una tonalità di blu molto acceso che contrastava con l’immonda esalazione che lo circondava. Incredibile a dirsi, ma quello sguardo era ammaliante, quasi magnetico. Se fossi stato una ragazzina avrei perso la testa per un uomo così. Tanfo escluso, ovviamente.
“Dottore, mia madre se la caverà?” domandai, retrocedendo verso la finestra per allontanarmi dal suo fetore.
Distavo da lui almeno due metri, ma ancora adesso non riesco a spiegarmi come fece a darmi una pacca sulle spalle da quella distanza e a rispondermi in quel modo ironico e malvagio.
“Tua madre da giovane era una gran troia, non te l’ha mai detto?” Quella bocca terribile e quei denti umani così sporchi, avevano fatto uscire quelle parole mostruose.
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Continuai come ipnotizzato a guardargli la bocca. Le labbra si stavano colorando di nero, come carne in putrefazione. Il mio corpo galleggiava in quella nube di olezzo ultraterreno, mentre la sua figura mi voltava le spalle avvicinandosi alle scale di servizio.
Rimasi rimbambito per non so quanti minuti, prima che un'infermiera spalancasse la porta del reparto e mi chiamasse.
“Signor Vanni, presto!”
Mia mamma era appena morta.
Il suo ricordo è sempre con me, ma alle volte è nebuloso. Ogni tanto mi capita di ragionare da solo, al buio, su chi fosse stato veramente quell’uomo... o quella cosa. Ripenso al suo nome.
Chi era...?
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