300 Parole 2025: scadenza 31 ottobre

Chiodi

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2017 - edizione 16

Quando bussarono alla porta erano quasi le due e il vecchio Amelio stava dormendo. Scese le scale imprecando e aprì.
La ragazza gli si buttò letteralmente addosso. Piangeva, strillava: -Mi aiuth... la pregho! Là fuori... Dio!- Il suo corpo era squassato da scariche di terrore che ne strozzavano le grida nella gola.
Il custode guardò fuori ancora confuso dalla levataccia improvvisa. Oltre la ragazza, che profumava di roba costosa, solo lapidi scure ed alberi scheletrici. Nulla di strano.
-Signorina- disse rauco -si calmi e mi dica cos’è successo.
-Là fuori... mi tenevano... non riuscivo a muovermi, non respiravo... non vedevo nulla! Pensavo di morire! Tremava.
Il vecchio Amelio ora cominciava a capire. -Signorina, che diavolo ci faceva nel cimitero a quest’ora della notte?
La ragazza parve calmarsi improvvisamente, come se la domanda rivoltagli dal custode l’avesse ridestata da un brutto sogno. Avvolta in quello che sembrava il suo abito della Domenica fissò spaesata un punto imprecisato nel torace di Amelio, come cercasse di ricordare qualcosa. Il respiro ora sembrava più fluido.

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INCUBO POST-APOCALITTICO DI TIM CURRAN

Dopo l’olocausto nucleare, un gruppo di sopravvissuti si rifugia nel bunker progettato da Lilian, un nascondiglio sicuro fatto di acciaio e piombo... o così sembra. Con un ritmo incalzante e un’atmosfera claustrofobica, Aftermath incalza tra spettri di follia e oscuri desideri, trascinando il lettore in un’odissea dove la più grande minaccia non è la radioattività… ma il male che si cela nell’animo umano. Disponibile in ebook e cartaceo entrambi illustrati.

-Io non... non so... non... ho corso e sono arrivata qui! La prego, chiami mio marito!
Ecco, sì. Adesso Amelio sapeva. Si trattava solo di uscire e cercare.
-Farò di meglio- disse -adesso la riporto a casa!
Udite quelle parole la ragazza sembrò rasserenarsi, ma fu solo un attimo, perché Amelio con un gesto rapido le mise un braccio attorno al collo e con decisione le bloccò la testa in una morsa d’acciaio.
Noncurante del suo dimenarsi e delle sue grida soffocate, la trascinò fuori, verso la parte nuova, oltre la cappella. Giunto sull’orlo della fossa, si fermò e guardò giù.
Dal coperchio della bara, buttato di lato, sporgevano i chiodi, come denti nella bocca di un coccodrillo.
-Troppo corti- sentenziò guardandoli luccicare nella notte -Fottuti becchini!

Edoardo Barea



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