Caccia e pesca

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2017 - edizione 16

Dicono che ci sia da sempre, la bottega dell’Andreina. Nessuno ricorda quando avesse aperto i battenti, nemmeno gli anziani del paese. Pare sia sempre stata lì, con la sua insegna in finto marmo e la sua vetrina opaca e semivuota. “Caccia e pesca” recita la scritta sopra la porta. E un allegro scampanellio ne accompagna l’apertura. Lei, seduta al di là del bancone, accoglie i rari clienti con un sorriso di dentiera. Ha tutto, l’Andreina, soprattutto le esche vive. Dei vermi bianchi, vivaci e cicciotti, cui nessuna trota riesce a resistere. E li vende a un euro al cartoccio. Praticamente regalati. E quando un pescatore li richiede, l’Andreina va sul retro e rientra con l’involucro di carta, poi sogghigna allegra.
Girano strane storie sui vermi dell’Andreina. Qualcuno insinua che, in quel retro, ci sia suo marito, defunto qualche anno prima, che faccia da terreno di coltivazione per i lombrichi. O qualche pescatore forestiero che, entrato per sventura nella bottega, sia stato “assunto” come “cibo per animali striscianti”, dopo essere stato reso cadavere da qualcuno dei fucili da caccia dell’anziana proprietaria.

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È entrato quella sera, l’Ugo, appena prima della chiusura. L’unico balordo del paese. Sempre ubriaco e in cerca di soldi e, questa volta, voleva rubarli all’Andreina. Non è cattivo, l’Ugo, ma è grosso. L’ha spinta. E lei ha picchiato la testa, una testa fragile da novantenne, che si è divisa in due come un’anguria troppo matura. C’erano solo loro due nella bottega. Non si sa di preciso cosa sia accaduto dopo. Lo hanno trovato il giorno seguente, l’Ugo, o, almeno, il suo scheletro, ricoperto da milioni di vermi banchettanti.
C’era l’Emilio in piazza, il vigile urbano. Lui non beve, ma giura di avere visto uscire dal negozio dell’Andreina due figure bianche, giganti che, strisciando, ripetevano un suono sordo.
Parevano lamentarsi.

Lodovico Ferrari



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