La moglie

Lo aveva fatto, era riuscito a liberarsi di lei. Quante volte Ferdinando aveva sognato questo momento, con la consapevolezza che fosse solo una terribile fantasia, irrealizzabile, ma che avrebbe desiderato potesse diventare realtà. Suo padre glielo aveva insegnato fin da piccolo: “Quando vuoi una cosa che non puoi avere, sogna di conquistarla, nell’illusione di una finzione destinata a rimanere tale troverai la forza per sopportare l’insoddisfazione.” E invece per lui il sogno, proprio nel momento più grigio della vita, era diventato una splendida e macabra certezza.
Si era finalmente liberato di sua moglie. Era ormai sereno, dopo anni di rimproveri e offese non avrebbe più dovuto sentirsi continuamente accusare degli effetti della sua incapacità. Il cadavere di Gloria era steso ai suoi piedi e non c’era il rischio che ricominciasse a pronunciare verso di lui terribili sentenze.
“Sei sempre stato un cretino, capace solo di farti mettere i piedi sulla testa da tutti, debole, stupido e ultimamente anche impotente.”, era questo il tono con cui di solito si rivolgeva a lui.
Doveva essere stata proprio l’impotenza ad accendere nella mente di Ferdinando la scintilla necessaria, per trovare il coraggio di rendere quel terribile sogno una realtà. Era arrivato a una condizione insostenibile. Gloria sembrava interessata solo a ferirlo. Era talmente scontenta di lui, da provare repulsione per il suo stesso consorte.
Lui d’altronde cosa avrebbe mai potuto fare? La natura non lo aveva dotato di nessuna particolare abilità, si era dovuto accontentare di ciò che era, senza farsi inutili complessi.
Aveva conosciuto la moglie sui banchi di scuola, alle medie e poi all’istituto tecnico commerciale. Otto anni di convivenza nelle stesse aule e con gli stessi compagni di studio, ma lei non aveva mai rivelato interesse nei suoi confronti. Era la tipica ragazza fortunata: figlia di una famiglia culturalmente bassa, ma che si era arricchita nel commercio della frutta e della verdura. Contadini furbi, che per curare i loro interessi erano passati sopra tutto e tutti. Lei di quattro figlie era l’unica che aveva rivelato doti intellettive sufficienti per conseguire un diploma.
Non era bella, ma da ragazza aveva avuto un corpo ben proporzionato, interessante agli occhi degli uomini che si davano da fare per entrare nelle sue grazie. Gloria a quel tempo non era certo attratta da Ferdinando, che sapeva bene di non avere opportunità con una delle ragazze più ambite della scuola.
Poi ogni cosa era cambiata. Si erano diplomati, con voti bassi ma con l’illusione di cavalcare l’onda del boom economico per trovare un’occupazione dignitosa. A lui era andata bene: il padre Rodolfo, assai più brillante di lui in ogni cosa che faceva, attraverso le sue conoscenze come bancario era riuscito a fargli avere il posto di contabile presso una ditta di vernici. A lei era andata meno bene. Nessuno investe in una diplomata mediocre se non ci sono santi in Paradiso che intervengono, così la povera Gloria aveva pensato di ipotecare il suo futuro sposando Ferdinando.
Lui all’inizio era stato lieto di accettare la bella compagna di classe, da sempre segretamente sognata, ma poi il loro matrimonio si era rivelato una catastrofe. Lei sembrava non perdere occasione per far presente al consorte le sue scarse capacità, ma anche i suoi genitori non riuscivano ad accettare che la figlia si fosse adattata a un uomo così limitato.
“Perché non ti fai rispettare dagli altri?”, quante volte aveva sentito la moglie pronunciare verso di lui tale accusa.
“Tu mi devi ascoltare, io so come devi fare per accontentare la tua sposa e non farti sottomettere dalle persone, nel mondo del lavoro e non solo.”, aggiungeva il suocero che, per fare bene la sua parte, rincarava la dose di rimproveri della figlia.
Erano dieci anni che Ferdinando sopportava vessazioni di ogni genere. Come si può arrivare a trent’anni suonati e non riconoscere un briciolo di considerazione nelle persone che ti circondano? Non riusciva più ad accettare una condizione talmente umiliante, spesso nella sua testa risuonavano come l’eco di una voce lontana le parole: “Non la sopporto più.”

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“L’ha sempre detto mio padre che sei un idiota, ma lo sapevo già prima di sposarti. Mi basta pensare alle umiliazioni che hai subito a scuola da insegnanti e compagni di classe. Eri lo zimbello di tutti, se qualcuno mi avesse detto che sarei diventata tua moglie, gli avrei sputato in faccia.”, quella maledetta sera Gloria, come sempre, torturava il marito con le solite lamentele.
“Ma allora si può sapere cosa ti ha spinto a sposarmi?”, recriminò lui.
“Non lo so nemmeno io perché ti ho sposato, ma me ne pento. Anche stavolta ti sei fatto prendere per in giro dagli assicuratori.”
“Cercano semplicemente di tutelare i miei interessi, con una polizza completa contro ogni evento atmosferico che potrebbe colpire la casa.”
“Ma che imbecille, cercano solo si spillarti più soldi. Mio padre pagava la metà di te ed è sempre stato risarcito di ogni danno.”
“Ai tempi di tuo padre era più semplice ogni cosa, oggi i prezzi sono lievitati.”
“Ma certo, hai sempre una misera scusa per le tue incapacità. Sei sempre pronto a difendere le tue stupide scelte. Sei solo un inetto.”
Quell’ultima offesa colpì Ferdinando talmente in profondità, da trapassare il suo debole cuore fino a giungere diretto nell’animo. Quante parole peggiori Gloria gli aveva detto in dieci anni di matrimonio, ma quell’ultima offesa non riuscì ad accettarla. Prese tra le mani il collo magro della moglie e strinse fino al punto di farle uscire completamente la lingua. Gloria dimenò i piedi a mezz’aria per qualche minuto (era molto bassa, Ferdinando non aveva dovuto fare un grande sforzo per sollevarla al fine di rendere la presa più efficace), poi perse i sensi per sempre.
“La porterò lontano da qui, dove potrò bruciare il suo piccolo e odioso cadavere.”, pensava l’uxoricida senza provare il minimo rimorso per quanto aveva fatto.
“Se lo è meritato, ha reso la mia vita ancora più triste e difficile di quanto fosse. Se riuscirò a sbarazzarmi del cadavere, avrò il tempo di fuggire all’estero e rifarmi una vita prima che si scopra che ho ucciso mia moglie. È giusto che possa avere un’altra possibilità.”, e mentre architetta il suo piano, Ferdinando era già sulla strada per Parma, diretto verso una remota zona boschiva dell’Appennino Tosco-Emiliano dove avrebbe cremato il cadavere della moglie.
Sereno di aver fatto la cosa giusta, decise di dare un passaggio a un autostoppista.
“Perché l’ho preso a bordo della mia auto? Cosa mi spinge ad aiutarlo?” Quante volte aveva agito senza riflettere e poi si era fatto delle domande a cui non sapeva trovare una risposta, azioni compiute stupidamente. Ma adesso la posta in gioco era alta.
“Cosa faccio se mi chiede di aprire il bagagliaio? D’altronde perché dovrebbe farmi una richiesta del genere? Se sto calmo fra un po’ scenderà e io non avrò problemi.”, la consapevolezza di non destare sospetti gli dava coraggio.
L’autostoppista lo osservava con i suoi occhi avvitati nelle orbite, spalancati come se lo stesse guardando con un’aria quasi minacciosa. Era alto e magro, vestito in modo elegante con giacca e camicia nera, almeno per quanto poteva sembrare a prima vista, dato che i suoi abiti esaminati con attenzione erano lisi, talmente consumati da essere scoloriti e con piccoli buchi.
“Non è facile trovare persone di bell’aspetto come lei tra gli autostoppisti, ci faremo compagnia in questo noioso viaggio notturno. Ha detto che va in Lunigiana?”, fu proprio Ferdinando a iniziare ad approfondire la conoscenza, sempre per darsi coraggio.
“Che nottataccia e che strada dissestata, cosa la spinge ad avventurarsi per questi luoghi sperduti?”
“Ecco che comincia con le domande invadenti - pensava l’omicida - ma devo stare calmo, non può sapere che nascondo il cadavere di mia moglie.” Poi rispose nel modo più naturale che poteva: “Vado a far visita a un mio vecchio zio che abita a Licciana Nardi, è uno dei pochi anziani che vivono ancora in quel luogo abbandonato.”
“Che coincidenza, io abito in un paese vicino, stavo proprio per tornare a casa quando la macchina si è rotta. L’ho lasciata nel parcheggio dell’officina di un meccanico, che per fortuna ha risposto al numero di cellulare indicato sul portone. Domani sera mi farà trovare il mezzo riparato. Rimasto a piedi e senza servizi pubblici per la tarda ora, ho deciso di fare l’autostop, spero che non abbia pensato male di me.”
“Ci mancherebbe, a tutti può capitare di rimanere a piedi lontano da casa.”
“E insomma suo zio abita proprio a Licciana Nardi? Come si chiama, forse lo conosco.”
“Ecco che ricomincia con le domande invadenti, - continuava a pensare Fernando - devo mantenere la calma, se non voglio che sospetti di me.” La sua fronte si era imperlata di goccioline di sudore freddo. “Non credo, mio zio è un tipo molto schivo, non si fa notare dalle persone.”
“Capisco, ma gli va a fare visita proprio a quest’ora, non è un po’ troppo tardi per andare a casa di un anziano?”
“Mi sta mettendo in difficoltà, devo assolutamente trovare una buona scusa, se non voglio destare sospetti. Perché l’ho fatto salire?” L’uxoricida si sentiva gelare il sangue nelle vene, ma cercava in ogni modo di non darlo a vedere al suo inopportuno passeggero. “Non potevo partire prima, avevo una riunione importante in ufficio, ma sono certo che lo zio sarà felice di vedermi anche a quest’ora. Passerò da lui l’intero fine settimana.”
“Ah, bene, suo zio le deve essere davvero molto affezionato. Ma non me lo vuol proprio dire come si chiama?”
“Gaetano, ha il nome di suo nonno, che poi era mio bisnonno.”
“Gaetano, Gaetano: e di cognome?”
“Bianchi, come me.”
“Gaetano Bianchi: non l’ho mai sentito nominare. Strano, Bianchi non è nemmeno un cognome diffuso in quella zona. Sa, sulle montagne della Lunigiana in passato erano frequenti i matrimoni tra cugini, questo ha favorito l’affermarsi di alcuni cognomi ricorrenti.”
Gli occhi dello sconosciuto apparivano a Ferdinando sempre più incavati, l’omicida si sentiva osservato dal suo inopportuno compagno di viaggio come se fosse scrutato in profondità, fino a sentirsi leggere i pensieri.
“Nel bagagliaio avrà sicuramente il necessario per pernottare un paio di giorni, una valigia leggera con pochi effetti personali.”
“Maledizione, perché si interessa a quello che porto nel bagagliaio? Sembra che si stia divertendo a farmi star male.” Ferdinando era sempre più agitato e il suo stato d’animo iniziava a trasparire dal suo modo nervoso di guidare, ma lo sconosciuto non sembrava curarsene.
“Una macchina familiare, anche se economica come questa, deve proprio avere un bel bagagliaio, ampio e accogliente.”
“Mi sembra chiaro, ma perché è interessato alla mia auto?”
“Così, tanto per conversare, a me piacciono molto le macchine spaziose.”
“In realtà questa non è poi così spaziosa come si potrebbe pensare.”
“Davvero, mi piacerebbe proprio vederlo il suo bagagliaio, magari potremmo fermarci in un bar, prendere un caffè, che le offrirei ben volentieri, e poi lei mi farebbe vedere per bene la sua macchina.”
“Mi dispiace ma io non bevo caffè.”
“Ah sì, che strano, il caffè piace a tutti.”
“A me non piace. Cerchiamo di arrivare a destinazione quanto prima.”
Ormai Ferdinando sentiva tremare ogni muscolo per il terrore, una paura cieca e difficilmente controllabile. Chi era veramente quell’uomo e cosa voleva da lui?
Rallentando in una strettoia per istinto si voltò un’ultima volta a guardare lo sconosciuto, che adesso stava ridendo rumorosamente, senza un’apparente ragione. Lo guardava e rideva di lui, della sua paura e del suo modo impacciato di guidare. Ferdinando ebbe appena il tempo di stupirsi di quello strano comportamento, poi d’un tratto si ritrovò nell’autoambulanza completamente intubato. Era stato solo un sogno, una terribile illusione. Non era riuscito a uccidere Gloria, anche stavolta aveva miseramente fallito. Nel momento in cui l’aveva presa per il collo, lei aveva afferrato un ferro appuntito usato per attizzare il fuoco del camino e glielo aveva conficcato nella gola, lacerandogli la carotide. Dopo aver ricordato cosa era successo, Ferdinando si perse nell’oscurità.

Giampaolo Giampaoli



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