E ti sarà perdonato

Il confessionale emana odore d’incenso e sangue.
- Padre, sono venuto a rimettere i miei peccati.
Un sibilo. Roberto lo prende come l’invito a entrare.
Oltre la grata qualcosa si contorce, nella poca luce un’ombra libera la voce gracchiante, quasi un gemito.
- Parla.
- Mia moglie è malata di cancro, le restano due mesi di vita.
- La tua mancanza?
Ticchettio di gocce che cadono da qualche parte.
Roberto prende fiato.
- Tradimento.
Una risatina.
- E ti sei pentito?
Pausa. Stomaco in subbuglio. Senso di vomito.
- No. Mi sento come se non fosse successo.
L’ombra sembra ingrandirsi.
- Sapessi cosa ho fatto io.
Altra risata, questa volta più volgare. Il guaito di un cane in lontananza prova a trattenere barlumi di realtà.
- Tu hai scopato con un’altra donna mentre io accartocciavo l’Universo.
Voce femminile al culmine del piacere. Schiocco di lingua.
- Io...
- Lasciami finire di succhiare.
Roberto si avvicina alla grata. Per un istante ha l’impressione che l’interno sia tappezzato di seni. Poi intravede soltanto del fumo bianco.
- Ho ingannato mia moglie e non provo nessun rimorso.
Dal fumo compare una mano storpia con un fazzoletto bagnato. L’olezzo è nauseante.
- Pulizia di umori.
- Mi dia l’assoluzione, la prego.

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CHI HA PAURA DEI CAPELLI?
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Aumenta il ticchettio. Le pareti dello stretto confessionale si muovono, iniziano a pulsare come se fossero lo strato superficiale di un cuore enorme.
- Prima devo mostrarti il tuo atto di dolore.
- Certo... sì.
- Perché peccando hai meritato il mio castigo.
- Vorrei... trovare comunque la forza per dirglielo, prima che sia troppo tardi. Credo di amarla ancora.
- Oh, mio caro, io non riconosco il concetto di tempo, è soltanto una disdicevole rappresentazione mentale. Io penetro il vuoto dello spazio, io sono lo strumento per redimere le anime feconde. Che tu sia il benvenuto nella casa del parto.
Pagine sfogliate, il pianto di un neonato, unghie che grattano il legno.
- Padre, non sono sicuro di comprendere, ma nel momento in cui ho peccato sono stato sopraffatto dal richiamo della carne e mi è sembrata la cosa più bella e naturale.
Soffio rauco.
- Profondità. Chiamali modelli di limpida rettitudine. Desidero mostrarti un campione.
Una testa piena di capelli aggrovigliati sbatte contro la grata. Rivoli di sangue, saliva, sofferenza. Dalla semi oscurità spunta un occhio tumefatto, ma il volto è irriconoscibile, maschera di puro dolore.
- Ho accartocciato l’Universo per scoprire il vostro ordine primordiale. Adesso puoi chiedere perdono.
Due dita piene di anelli afferrano la testa e la girano lentamente, rivelando a Roberto una donna dalla bocca straziata. Quelle labbra si sforzano di catturare aria per abbozzare una frase. Una debole supplica strozzata dal pianto.
- Amo... re mio. Perdoa... mi.

Diego Cocco



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