Tre round

Nel locale, i pochi clienti presenti fissavano distrattamente il televisore, sintonizzato su un telegiornale.
La bella giornalista muoveva le labbra senza un suono - volutamente l’audio veniva tenuto disattivo per consentire l’ascolto della musica in sottofondo - ma la didascalia in sovrimpressione non dava spazio a interpretazione sull’argomento di discussione.

Marco cercò di prestare attenzione, per quanto possibile. Per fortuna era capace di leggere le labbra. E quelle della giornalista erano parecchio piacevoli da osservare...
A quanto pare, da qualche tempo circolava nella zona un assassino. E si stava dando parecchio da fare.
Sei vittime. Tre donne e 3 uomini.
“Almeno si rispetta la parità di genere” pensò Marco tra sé e sé.
Le vittime erano state ritrovate in varie località della Brianza. Ma, a parte questo, non vi era nessun nesso tra loro. Non si conoscevano, se non per qualche contatto in comune sui social. La vittima più giovane era una ragazza di 22 anni, mentre la più anziana era un cuoco in pensione.

“Ohi??? Ci sei?”. Un colpetto al braccio e il sorriso di Giovanna, riportarono Marco alla realtà.
“Azz..., che figura! Speriamo non se la sia presa”, pensò, ma Giovanna non sembrò infastidita dalla distrazione e riprese a parlare.
Gli piaceva quella ragazza. Ci stava uscendo da un po' di tempo, anche se non condivideva la sua passione per la psicologia, facoltà a cui si era iscritta all’università. Mentre lui, un impiegato commerciale di una grande società di investimenti, era una persona più concreta.
“E poi”, pensava “ne capisco più io delle persone, parlandoci ogni giorno, che lei studiando sui libri”. Ovviamente si guardava bene dal dirle una cosa del genere, gli era stato insegnato che non bisogna ferire le persone con le parole. Inoltre, dopo giornate intere passando da un cliente all’altro per convincerli a spendere soldi in progetti rischiosi, non era facile restare concentrato. Specie se l’argomento di conversazione era, in quel momento, l’importanza del tono di voce nelle conversazioni, concetto piuttosto ovvio per lui, visto anche il lavoro che faceva, ma, probabilmente, non altrettanto ovvio per lei visto quanto ne parlava entusiasta.

Ad un certo punto, Giovanna si alzò per andare in bagno, dando a Marco la possibilità di cercare più informazioni sull’assassino. Aprendo una pagina di un quotidiano online, lesse che altri due punti in comune tra le vittime erano che gli omicidi fossero avvenuti di notte e mentre le vittime non si trovavano in casa, ma in giro, da sole. Ma a parte questo, nient’altro. In più, il bastardo non lasciava nessuna traccia, nessuna prova, nessun collegamento. Tanto che i primi omicidi non erano neppure stati collegati.
Ora, da qualche settimana non era successo nulla di rilevante. Si ipotizzava che fosse scappato oppure che si fosse fatto più prudente.

“Cosa guardi di così interessante?”, chiese Giovanna cogliendolo di sorpresa. Marco rimase basito per un secondo, non l’aveva vista ritornare né si era accorto che le si fosse seduta di fronte.
“Oh”, imbarazzatissimo “Niente... Solo qualche notizia sull’assassino delle settimane scorse”, rispose, “a quanto pare un altro mitomane in cerca di attenzione. Roba per voi strizzacervelli”, affermò con una punta di sarcasmo.
L’occhiataccia che gli fece Giovanna gli fece capire che il commento non era stato apprezzato.
Cercò di rimediare “Scusami era per sdrammatizzare, non volevo offenderti. Anzi tu cosa ne pensi? In quanto studentessa di psicologia, o roba simile, ti sei fatta un’idea di che razza di uomo potrebbe fare una cosa del genere?”
Giovanna alzò gli occhi al cielo. “Ecco la solita arroganza maschile... Perché dai per scontato che si tratti di un uomo?”.
A questa domanda Marco non seppe rispondere. Anche se, a coglierlo alla sprovvista, fu soprattutto il tono di sfida di lei. In effetti non ci aveva proprio pensato a questa eventualità; a pensarci bene, non aveva neppure fatto caso alle varie ipotesi sull’identità dell’omicida.
“Beh, dai, è ovvio... Basta leggere le notizie, ogni tanto nella maggior parte dei casi di omicidio, il colpevole è un uomo, quindi penso sia naturale pensarla così al riguardo”
“La maggior parte delle volte, non significa sempre”, disse a voce bassa avvicinandosi a lui, “non hai idea di cosa sono capaci di fare le donne”. Gli occhi di lei sembrarono diventare più grandi.
“Noi donne siamo capaci di uccidere come e anche più degli uomini. Abbiamo una crudeltà innata, non ci fermiamo davanti a nulla.”
Rimase in silenzio per qualche secondo a fissarlo. Lui impallidì. Di colpo, poi lei scoppiò a ridere.
“Ti ho spaventato vero?”, continuò a ridere. Marco la guardava perplesso e confuso.
“Visto che avevo ragione sull’importanza del tono della voce?” disse con sorriso malizioso, “e tu che invece sostenevi che sono cose che si imparano solo vivendo. Ecco ti ho dimostrato il contrario!!!”.
Stavolta l’aveva davvero beffato, e rise anche lui, per darsi un minimo di contegno. Questo round l’aveva vinto lei.

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“Comunque”, riprese lei “in facoltà pensano che chiunque sia l’assassino, può darsi che un frustato, magari uno che non riesce ad avere una vita sociale, o sessuale, appagante. E quindi si sfoga uccidendo le persone per colmare questo vuoto. Oppure la furia omicida deriva da un trauma infantile. Invece, uno dei miei professori, sostiene che semplicemente alcune persone nascono cattive e provano l’innato desiderio di uccidere pari al bisogno di mangiare. Quest’ultima teoria è interessante, ma, se dovessi scegliere, propenderei più per la prima”, concluse.
Il resto della serata corse via abbastanza velocemente, parlando di argomenti più leggeri, e scoprendo anche di essere entrambi ammiratori del cinema di Wes Anderson.

Appena usciti dal locale Giovanna prese per mano Marco e chiese a Marco di accompagnarla a casa. Lui non poté tirarsi indietro, ma provò una strada inquietudine. Quello sguardo che Giovanna gli aveva fatto mentre parlava della possibilità che l’assassino fosse una donna, l’aveva turbato.
“Dai, non fare il timido, sono solo una ventina minuti a piedi fino a casa mia”. E si incamminarono.

Mentre camminavano, lei pareva tranquilla, Marco invece continuava a guardarsi intorno. Era teso come una corda di violino, sembrava una lepre pronta a scappare al primo segnale di pericolo.
Giovanna accorgendosi di ciò, disse.
“Visto che hai paura, possiamo tagliare passando dal parco. Faremo prima. Oppure hai paura degli scoiattoli?”
Punto nell’orgoglio, Marco non rispose ma si mosse in direzione del parco, seguito dalla ragazza.
Anche questo secondo round l’aveva vinto lei.

Il parco era male illuminato, e Marco continuava a guardarsi intorno e indietro, freneticamente.
Erano ormai a metà strada quando lei disse: “Se ti fa sentire più tranquillo, potresti passare la notte da me, in fondo potresti sempre recuperare l’auto domani.”
“Grazie, ma... sei sicura? Voglio dire, non ci conosciamo da molto... e poi io...”
“Cosa c’è? Hai paura di una ragazza sola?”, chiese. E di nuovo fece quello sguardo.
“No. No. È che non me l’aspettavo da te... anche se devo ammettere che un po' ci speravo...”
Lei sorrise. “Ecco vedi? Io le persone le capisco meglio di quanto pensassi.”
Lui sorrise, senza dire nulla.
“Ora avvicinati, dammi un bacio” disse lei, con voce invitante.
Erano soli nel parco, solo la debole luce della luna illuminava lo spazio intorno a loro.
Lui le prese il collo e la baciò appassionatamente, lei lasciò che la lingua di lui le entrasse in bocca per una danza.

Dopo qualche minuto di estasi, si staccarono, continuando a guardarsi negli occhi.
“Giovanna...”
“Dimmi...”
“C’è una cosa che volevo dirti”
“Tutto quello che vuoi”
Improvvisamente, lui strinse le mani attorno al collo di lei in una morsa. La spinta e la sorpresa furono tali che Giovanna cadde all’indietro, ma Marco non mollava la presa. Pochi secondi e la vita di Giovanna si spense.
“Volevo dirti... che sei stata bocciata”, e dopo aver detto ciò rise beffardamente. Quanto gli era mancato il piacere di sentire una vita nelle sue mani.

Si alzò guardandosi intorno. Mentre camminavano si era assicurato che non ci fossero potenziali testimoni, ma sempre meglio dare un’altra occhiata.
Mentre si alzava, dalla sua vittima, osservò la luna e pensò: “E con questa siamo a sette”, e si incamminò soddisfatto verso l’auto.

Terzo round, e partita, vinti da Marco.

Vittorio Pifferi



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