Film strambi per gente stramba

Si sa, il grande schermo contiene un’infinità di mondi, noti con il nome di “generi cinematografici”; potete vivere un’avventura western, innamorarvi in una commedia romantica, imparare qualcosa guardando un film storico, staccare la spina dalla realtà per la durata di un film fantasy, immaginare scenari futuri con un film di fantascienza, provocarvi un non sgradevole brivido con una storia horror, ecc.
Se i generi cinematografici sono numerosi, i sottogeneri sono sterminati.
Abbiamo western classici e moderni, senza dimenticare gli spaghetti western, film fantasy ambientati in mondi immaginari, in epoche passate o in mondi paralleli al nostro mondo attuale, e lo stesso discorso può essere fatto per ogni genere.
Ma credo che nessuno possiade la ramificazione di sottogeneri che può vantare l’horror.
Cominciamo col dire che l’horror è il secondo genere più prolifico al mondo. Al primo posto (irraggiungibile) abbiamo il porno, al terzo posto la commedia romantica, con una media di 150 film l’anno. L’horror ci dona invece circa 300 titoli ogni anno. E noi ringraziamo.
300 titoli, prodotti negli States, in Canada, in Sudamerica, in Europa, in Australia e Nuova Zelanda e, ovviamente, in Oriente; Giappone, Cina, Corea e Thailandia sono in prima fila negli ultimi anni.
Horror è il contenitore: cosa troviamo all’interno?
Troviamo i thriller-horror, per menti e palati raffinati, gente che esige una trama solida, personaggi credibili e finali shockanti. I primi 2 titoli che mi vengono in mente sono S7ven e la saga di Saw l’Enigmista. Roba da mascella pendula. Questi film sono perfettamente congeniati, ma non disdegnano qualche scena splatterosa. Per cervelli e stomaci allenati.

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Poi abbiamo gli horror puri, quelli in cui il lato thriller, giallo, conta poco e niente. Gli assassini non sono più “semplici” serial killer umani, ma acquistano una dimensione sovrannaturale. A volte sono umani “con qualcosa in più”, a volte sono proprio fantasmi o demoni. I migliori titoli del genere riescono a tenerti col sedere sulla poltrona e gli occhi fissi sullo schermo pur contando tutte queste mancanze, grazie ad un sapiente mix di suspance e jumpscare. Paladini del genere sono Halloween di Carpenter, la cui sola musica ti fa dormire male, Nightmare di Craven (e innumerevoli imitazioni), e Venerdì 13 con il mitico Jason, che in un capitolo sfida persino Freddy!
Ora però, questi film possono anche essere considerati i progenitori del genere teen-horror. Dicesi teen-horror: film in cui un allegro gruppo di bimbiminkia si ritrova (per scelta o per sfiga) in un luogo isolato in cui vive un serial killer o un demone o un vampiro o un’orda di zombie o qualunque cosa possiate immaginare, e parte quasi subito l’allegra mattanza. Nell’ordine muoiono: il tipo biondo (“Vado nel bosco, da solo, di notte, senza torcia senza armi, a vedere cosa è questo rumore e questo tanfo di morte. Torno subito!”), la fidanzata bionda del genio (“Perché Tom non torna? Lo so che sono solo 3 giorni che non si vede, ma sono preoccupata. Andrò a cercarlo da sola, di notte, senza torcia senza armi senza vestiti, ma in tacco 12. Torno subito!”). A questo punto restano la coppia mora ed il ragazzo jolly che può essere nero, asiatico o bianco ma nerd. Il jolly generalmente muore in modo eroico dando la possibilità di salvarsi alla coppia mora. Il moro muore a pochi passi dalla salvezza per salvare la fidanzata. Esistono migliaia di titoli in questo microuniverso e, pur con tutte le possibili varianti, funzionano così da decenni. Cabin Fever di Eli Roth, Final Destination, Stay Alive, My little eye, San Valentino di Sangue, Non aprite quella porta…
Poi ci sono due Capolavori che giocano su questi cliché in maniera che definisco geniale in assenza di termini migliori: sto parlando della saga di Scream di Craven e di Quella casa nel bosco di Whedon.
Perché sì, il genere horror è il genere che più di tutti sa fare autoanalisi e essere autoironico. Quasi tutti i film horror possiedono una più o meno sottile vena autoironica, che strizza l’occhio a i fan, ma alcuni nascono precipuamente con l’intento di divertire, giocare… cazzeggiare!

Certo, qui entriamo nel territorio dell’only for fans, ma se siete pronti, io un paio di titoli da consigliarvi ce li avrei.
Il primissimo che mi viene in mente è un gioiellino indie neozelandese intitolato Black Sheep. Non ho parole per descrivervi la bellezza di questa pellicola. Ma ci provo. Un cinico uomo d’affari paga degli scienziati per creare una nuova razza di pecore con un tipo di lana particolarmente pregiata. Ovviamente l’esperimento non va nel verso giusto. L’uomo d’affari ha un fratello hippie che, insieme ai suoi amici capelloni, vuole liberare le pecore geneticamente modificate. Ma, come ne L’Esercito delle 12 Scimmie, causeranno danni peggiori, in quanto le pecore sono diventate carnivore e chi viene morso e sopravvive si trasforma in un pecorone mannaro.
Hippie: Chi viene morso si trasforma…
Uomo d’affari: (inorridito) In un hippie???
Hippie: No! In una pecora mannara!
Uomo d’affari: (sollevato) Fiuu!
Cosa aspettate? Cercatelo!
Horror strambi, a cercarli, ce ne sono una marea, soprattutto tra le produzioni orientali. Crossover inimmaginabili. Non vi dico nemmeno i titoli. Scopriteli da soli.
Poi abbiamo la saga di Leprechaun, di cui pare esista anche il remake.
Ah! Come non citare Denti!? No, non quello di Salvatores. Qui parliamo di un film intenso, che ci permette di conoscere una dolce teenager americana che ha fatto il giuramento della purezza. Ma nel più classico stile American Pie, parte la scommessa tra i maschietti del liceo: Chi farà infrangere il giuramento alla verginella? Senza contare, l’outsider, il fratellastro da sempre innamorato di lei. Beh, la promessa dura poco e la vincono un po’ tutti, ma perdono qualcosa. Perché la dolce fanciulla ha una chiostra di denti dove proprio non te l’aspetti...
Concludo citando una pellicola poco conosciuta, ma venerata da chi ha avuto l’onore di vederla. Parliamo di un film del 1974, prodotto da Carlo Ponti, sceneggiato da Tonino Guerra (Gianniii, il profumo della vita!) e da Andy Wharol, interpretato da Vittorio De Sica e Milena Vukotic. Questo film dallo sgrammaticato titolo “Dracula cerca sangue di vergine… e morì di sete!” è un vero capolavoro. Non scherzo. Già solo la scena della zuppetta con pane casareccio e sangue basterebbe ad annoverarlo tra le perle del sotto-genere, ma poi, signori miei, c’è Mario. No vabbè, non aggiungo altro. Cercatelo, vedetelo e diffondete il verbo.
Il tema è sconfinato e mi sono limitata a darvi un assaggino di tutto; il resto lo farà la vostra curiosità.
Certo, quelli che già “erano nel giro” saranno sicuramente incuriositi, mentre quelli che “li horror no, peccarità!” vedranno confermate le loro peggiori teorie su di noi horrorofili.
Sì, siamo gente stramba, con un senso dell’umorismo non propriamente convenzionale. Ma ci piacciamo così.

Monia Guredda nasce a Roma nel 1983. Consegue un’utilissima maturità artistica e un’ancor più utile laurea triennale in Arti e Scienze dello Spettacolo. Ama leggere, ama scrivere, ama vedere film e serie tv (che a volte chiama ancora “telefilm”). Organizzatrice di eventi letterari, giornalista pubblicista e scrittrice pubblicata, sguazza con maggior delizia nel genere horror (con una nota di ironia), anche se di tanto in tanto non disdegna incursioni in altri territori. Strega buona (quasi sempre) consulta con una certa regolarità i suoi fedeli tarocchi che a volte le danno delle dritte anche per nuovi racconti. Suoi racconti sono apparsi su Letteraturahorror.it, La Soglia Oscura, Watson e Tuga mentre il primo libro tutto suo è uscito per quelli di Edizioni La Rìa con il titolo “Puoi sentirli sussurrare”. Le è costata più fatica trovare il titolo che scrivere i 22 racconti presenti nella raccolta.



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