Il Death Note di J. G. Ballard

Tempo fa girovagavo per un mercatino dell’usato e il mio sguardo è stato catturato da un vecchio volume Urania contenente un romanzo e dieci racconti di J. G. Ballard. Autore che era presente da tempo nella mia wishlist, ma che ancora, colpevolmente, non avevo letto. Ora, un bel volume vintage a 1,90 cent non potevo lasciarmelo scappare!
L’ho inaugurato leggendo uno dei racconti, sapete, per adattarmi, come quando entri in mare e ti bagni con calma gambe e braccia prima di tuffarti.
E il primo racconto di Ballard da me letto si intitola Ora zero, è del 1962 ed è l’antesignano di Death Note!
Boom!
Ora suppongo che molti tra voi lettori fossero a conoscenza di questo fatto che lega la letteratura inglese a uno dei migliori manga che il Giappone abbia mai prodotto.
Io no! E ne sono rimasta davvero sorpresa. Così ho deciso di condividere questa sconvolgente informazione con tutti quelli che come me erano all’oscuro di questo collegamento, scrivendo questo articolo, per l’appunto.
Seguitemi.
Siamo nel 1962 e il trentenne James Graham Ballard (mancato psichiatra, ex pubblicitario, ex portinaio, ex pilota della RAF, occasionalmente giornalista scientifico) pubblica un nuovo racconto.
Il suo primo racconto, Prima Belladonna, era stato pubblicato nel 1956 da Science Fantasy. 
Molti hanno tentato di incasellare Ballard, ma lui sfugge a tutte le definizioni.

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Questo perché qualunque genere scelga di usare come “sfondo” per i suoi scritti, il fulcro della narrazione resta uno ed uno soltanto: lo spazio all’interno dei personaggi, la loro psiche, il loro inner space.
Ed è un viaggio spaventoso, infinitamente più angosciante del più oscuro tragitto tra i recessi dell’universo. La mente umana, le sue perversioni, le sue paranoie, la sua sconvolgente capacità di distorcere la realtà in favore di una sconcertante visione soggettiva. Leggere le pagine scritte da Ballard significa indossare la pelle dei suoi personaggi e vivere ciò che loro vivono. O credono di vivere.
Ma arriviamo a Now: zero (Ora zero), un racconto di una ventina di pagine che ti lascia come se avessi preso un destro sul setto nasale.
La storia è narrata in prima persona da un anonimo impiegato di una ditta che di preciso non si sa cosa faccia; una megaditta tra mille.

Fra le righe emergono l’asocialità e il rancore cronico provati da questo “uomo della folla” che vede sfuggirsi occasioni di avanzamento sul lavoro, costantemente ostacolato da tutti i colleghi, tanto dai superiori quanto dai suoi parigrado. Tutti lo odiano. Lui questo lo sa, ma non si domanda mai il perché. Sente solo che c’è un complotto generale contro di lui, da quando era ragazzino e viveva in un anonimo paesino. Tutti remano contro di lui. Maledetti. Dovrebbero morire. Così scrive sul suo diario, unico orecchio amico. Ma un giorno va oltre. Descrive nel dettaglio la morte del suo capo. E il giorno dopo accade esattamente ciò che aveva scritto. No, aspetta, forse è un caso… Così fa altre prove, eliminando i colleghi che gli soffiano la promozione, la padrona di casa che assurdamente pretende l’affitto del mese... E funziona sempre. L’uomo della folla inizia a salire la scala gerarchica della sua azienda, ma va oltre... Oltretutto il diario dimostra di avere dei limiti; ad esempio non gli permette di sterminare l’intera popolazione del suo paese natale. No, servono coordinate precise, date, cause... Bisogna essere metodici. E un uomo che non ha reali aspirazioni nella vita, ma solo ambizioni vacue dettate dalla sua frustrazione, può permettersi di essere metodico. E così alla fine troverà il modo migliore di sfogare la sua rabbia, in uno dei finali migliori che abbia mai letto in un racconto.
Non credo di dover sottolineare in questa sede i punti di contatto con Death Note, e nemmeno i punti in cui le due opere divergono.
Di certo c’è che se Death Note ci impressiona per l’incredibile approfondimento psicologico dei personaggi, in una storia che si dipana per migliaia di pagine fitte di dialoghi, allora non può non colpirci il microcosmo che dispiega Ballard in venti pagine scarse. L’alienazione del singolo rispetto alla massa anonima presentata in maniera così lucida nel lontano 1962 non può non farci riflettere.
E alla fine la domanda sottintesa è sempre la stessa: Se mi ritrovassi tra le mani un simile potere, come lo utilizzerei? Mentiremmo tutti dicendoci che lo useremmo solo per il bene.
Buona lettura e buone riflessioni!

Monia Guredda nasce a Roma nel 1983. Consegue un’utilissima maturità artistica e un’ancor più utile laurea triennale in Arti e Scienze dello Spettacolo. Ama leggere, ama scrivere, ama vedere film e serie tv (che a volte chiama ancora “telefilm”). Organizzatrice di eventi letterari, giornalista pubblicista e scrittrice pubblicata, sguazza con maggior delizia nel genere horror (con una nota di ironia), anche se di tanto in tanto non disdegna incursioni in altri territori. Strega buona (quasi sempre) consulta con una certa regolarità i suoi fedeli tarocchi che a volte le danno delle dritte anche per nuovi racconti. Suoi racconti sono apparsi su Letteraturahorror.it, La Soglia Oscura, Watson e Tuga mentre il primo libro tutto suo è uscito per quelli di Edizioni La Rìa con il titolo “Puoi sentirli sussurrare”. Le è costata più fatica trovare il titolo che scrivere i 22 racconti presenti nella raccolta.



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