300 Parole 2025: scadenza 31 ottobre

Teddy

di Rekulak - pagine 414 - euro 16,90 - Edizioni Giunti

Il mostro che perseguita Teddy non è il Babau con i denti aguzzi e lo sguardo nero. C’è molto di più in questo romanzo di Jason Rekulak, un sorprendente paradosso letterario apprezzato persino dal maestro King. Il luogo dell’occulto diventa un cottage di villa Maxwell appartenente a una famiglia perfetta che quindi non può evitare di nascondere dei segreti, dove soggiorna Mallory, una ragazza ex tossico dipendente che si prenderà cura della loro preziosa creatura. Teddy ha cinque anni, è un bambino mansueto che vive sotto una campana di vetro, ma ultimamente ama disegnare. I genitori non avrebbero nulla in contrario se non fosse che il figlio ritrae come protagonista Anya, un’inquietante ragazzina fatta di strisce disordinate di carboncino scuro e con la bocca spalancata (stai tranquillo, la potrai vedere anche tu in diverse illustrazioni poste a fine capitolo!). Mallory è curiosa di sapere di più, e non le importa di trasgredire le buone regole di comportamento che le hanno imposto. Teddy sembra posseduto, parla con qualcuno quando è chiuso nella sua cameretta, mentre lei si vorrebbe concedere una pausa post prandiale.

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INCUBO POST-APOCALITTICO DI TIM CURRAN

Dopo l’olocausto nucleare, un gruppo di sopravvissuti si rifugia nel bunker progettato da Lilian, un nascondiglio sicuro fatto di acciaio e piombo... o così sembra. Con un ritmo incalzante e un’atmosfera claustrofobica, Aftermath incalza tra spettri di follia e oscuri desideri, trascinando il lettore in un’odissea dove la più grande minaccia non è la radioattività… ma il male che si cela nell’animo umano. Disponibile in ebook e cartaceo entrambi illustrati.

Anya non è un’amica immaginaria tranquilla, vuole Teddy tutto per sé, controlla le sue emozioni, le sue mani che arrivano a disegnare con una tale maestria insolita per un bambino così piccolo. I disegni riprendono delle scene precise, sono collegati, c’è un puzzle da ricostruire per comprendere un messaggio dell’aldilà, e Mallory non può fare a meno di interpretarlo. Trova anche la persona giusta, la pazza del quartiere, che vive di supposizioni e maneggia la tavola Ouija. Ed ecco che scoprono che i disegni sono collegati alla storia di Annie Barrett, un’artista libera quindi strana e pericolosa per la gente, la quale un giorno fu trovata assassinata, proprio dove Mallory dorme la notte tra il ronzio delle zanzare.
Ma in fin dei conti perché questo fantasma non fa del male a Teddy? Perché cerca solo di parlargli? Sapete, i mostri, molto spesso, hanno facce che non ti aspetteresti mai di vedere, sono addirittura raffinati ed eruditi. In questa storia spetta a Mallory riconoscerli e poi cercare di non farsi sbranare, così da proteggere anche il bambino. I Maxwell si sono macchiati di una colpa imperdonabile e solo Anya sa di cosa si tratta. Non la smetterà di insistere finché non lo dirà a tutti, pretende vendetta, ma soprattutto vuole far rendere conto a Teddy che la sua vita e la sua identità sono tutta una messa in scena.
Voto: 8
[Francesca Corato]

Incipit
Qualche anno fa ero praticamente al verde, e così mi offrii volontaria per un progetto di ricerca della University of Pennsylvania. Seguendo le indicazioni arrivai all’ospedale del campus, A West Philly, ed entrai in un grande auditorium pieno di donne, tutte tra i diciotto e i trentacinque anni. Non c’erano abbastanza posti e io arrivai tra le ultime, così dovetti sedermi, tremante, sul pavimento. C’erano caffè e ciambelle al cioccolato gratuiti e un grosso televisore che trasmetteva The Price Is Right, ma tutte quante guardavano il telefono. Sembrava di essere in coda per qualche ufficio, però ci pagavano un tanto all’ora e quindi avremmo aspettato volentieri anche tutto il giorno.
Una dottoressa dal camice bianco si alzò e si presentò. Disse di chiamarsi Susan o Stacey o Samantha e di far parte del gruppo di ricercatori coinvolti nel progetto. Lesse tutti i soliti avvisi e clausole, e ci ricordò che saremmo state retribuite con buoni Amazon, niente assegni né contanti. Qualcuno si lamentò, a me invece non importava: avevo un amico che mi avrebbe riscattato quei buoni per ottanta centesimi a dollaro, quindi ero a posto.
Ogni minuto Susan (si chiamava Susan, credo) leggeva un nome dal suo elenco e una di noi lasciava la sala. Nessuna tornava indietro. In poco tempo si erano liberati parecchi posti, ma io restai comunque sul pavimento, perché ero convinta di non riuscire a spostarmi senza vomitare. Mi faceva male tutto e avevo i brividi. Alla fine si sparse la voce che non era previsto alcun screening preliminare – nessuno cioè mi avrebbe preso un campione di urina o le pulsazioni, né avrebbe fatto qualcosa che potesse farmi escludere-, allora misi in bocca una compressa di ossicodone da quaranta milligrammi e tolsi tutto il rivestimento giallo.



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