La mia vita con le blatte

di Simone Corà - pagine 383 - euro 14,00 - Acheron Books

Ulisse Primi vuole cambiare vita: dopo trent’anni a spaccarsi la schiena sui cantieri, si compra una villetta nella profonda campagna vicentina, deciso a trascorrere i suoi giorni in beata solitudine. Il suo sogno, però, viene bruscamente interrotto, prima da vicini ficcanaso, poi da un problema ben più grosso: gli inquilini della sua cantina, una banda di scarafaggi antropomorfi determinati a liberarsi di lui. Schiacciare quegli scarafaggi, votati a una misteriosa missione, si rivelerà un’impresa molto più difficile del previsto e porterà nuovi inquietanti interrogativi: cos’è il Tritacarne? Cosa si nasconde nelle profondità della terra, proprio sotto la villetta? Chi era e a cosa lavorava il precedente proprietario? Per rispondere a queste domande, Ulisse dovrà suo malgrado intraprendere un viaggio incredibile, anche dentro se stesso e le proprie paure.

La storia parte con grande chiarezza e ottimo ritmo. Ti ritrovi lì, in mezzo alla campagna, a inseguire Ulisse che insegue il suo sogno e lo vede sgretolarsi pian piano e ti monta dentro la stessa rabbia che, gradualmente (ma mica tanto, eh!), monta anche dentro di lui.
Fai conoscenza prima con gli assurdi vicini un po’ troppo amichevoli, poi con una banda di scarafaggi suonati (tipo Oggy e i maledetti scarafaggi, avete presente?, però formato gigante), che non capisci bene se siano totalmente folli oppure totalmente geniali, e rimani invischiato negli odori e negli umori appiccicosi e vomitevoli che hanno trasformato la vita di Ulisse in un incubo.
Per quasi metà romanzo sei lì incollato, in mezzo a una guerra che non accenna a finire, né a pendere dalla parte dell’uno o degli altri contendenti, in attesa della svolta. Quando la svolta finalmente arriva, però, la visione d’insieme si confonde un po’.
La chiarezza e il ritmo della prima parte del romanzo, si appannano parecchio nella seconda e ti ritrovi a chiederti chi sia quel personaggio (aspetta... quando l’ha nominato?) oppure perché quest’altro sia sparito senza lasciare traccia (non era tanto male, gli avrei dato spazio). Ti ritrovi a chiederti dove cavolo tu sia finito (questo, a dirla tutta, se lo chiede anche Ulisse) e perdi un po’ i contorni della storia e la limpidezza dell’ambientazione, come se di colpo diventasse sovrabbondante di dettagli che la mente non riesce a processare tutti insieme. Peccato.
C’è anche da dire che si tratta di un libro lungo (quasi 400 pagine) e che l’autore è pur sempre un esordiente, quindi qualche défaillance ci sta.

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La trama, comunque, è originale e l’idea di base mi piace molto. Ci sono delle scene divertentissime (il capitolo XIV è il mio preferito) e c’è un sacco di buon materiale per chi ama lo splatter (astenersi stomaci deboli e, naturalmente, astenersi chiunque pensi che le blatte siano semplicemente degli schifosi insetti da debellare – anche se potrebbe cambiare idea).

Lo stile è chiaro, le frasi sono semplici e limpide, vanno dritte al punto. Non c’è nulla di quello “scrivere per scrivere” o, peggio, “scrivere per far vedere che so scrivere”. Niente ridondanze, niente elenchi di aggettivi. Gran cosa, dal mio punto di vista.
Un plauso all’edizione, molto curata nei dettagli. Grafica perfetta, sia per l’impaginazione che per i caratteri, quasi zero refusi, copertina fotonica (da sola merita l’acquisto).

Vorrei concludere dicendo che questa è una recensione di parte.
Sì, lo so, tutte lo sono, ma a me lo stile di Simone Corà piaceva già quando scriveva 18 anni fa (argh, quanto sono vecchia!!!) su Scheletri e, in 18 anni, di strada ne ha fatta.
Per questo mi auguro che continui a lavorarci sopra e a regalarci storie come questa, magari splatter, magari piene di mostri, ma sempre con un grande cuore.
Voto: 7,5
[Blackstar]

Incipit
Parcheggio il furgone accanto a una station wagon color cenere. Sul lunotto posteriore risalta la scritta “LAVAMI PEZZO DI M”, scavata con un dito su uno strato di fanghiglia. Zenere è così preso dal lavoro da non aver nemmeno avuto tempo di cancellare l’offesa per intero.
Stacco le mani dal volante gommoso a causa dell’umidità e spengo il motore. La ventola accaldata lancia un ultimo sbuffo e si blocca. Un puzzo di bruciato sale dalle bocchette dell’aria.
Grosse gocce di pioggia s’infrangono sul parabrezza del furgone. Ricomincia a piovere. Non ho ricordi di un agosto così bagnato: ha rallentato tutto il cantiere.
Un brandello di nastro adesivo marrone, usato per sigillare una crepa nel vetro, sventola in balia delle raffiche di vento, si stacca dal parabrezza e si spiaccica contro il retro della macchina di Zenere. Copre la parola “LAVAMI”. Neanche a farlo apposta.



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