Regia: Eli Roth
Cast: Lorenza Izzo,
Ariel Levy,
Aaron Burns, Sky Ferreira,
Nicolás Martínez,
Kirby Bliss Blanton,
Daryl Sabara,
Magda Apanowicz,
Matías López,
Ignacia allamand
Paese di produzione: Stati Uniti d'America
Anno: 2013
Durata: 90 minuti
The Green Inferno [2013] di Eli Roth è un omaggio disturbante al filone cannibalico italiano degli anni ’70 e ’80, un genere che ha fatto della violenza estrema e dell’esotismo più crudo il suo marchio di fabbrica. Roth, tuttavia, non si limita a replicarne l’estetica, ma la esaspera, la contamina con ironia nera e satira sociale e la usa come lente per smascherare le contraddizioni dell’attivismo contemporaneo.
Il risultato è un film che divide, che provoca, che non lascia tregua.
La trama è volutamente semplice. Un gruppo di studenti idealisti parte da New York per l’Amazzonia peruviana con l’intento di salvare una tribù indigena minacciata dalla deforestazione selvaggia e dalle multinazionali. Armati solo di smartphone e buone intenzioni, gli attivisti vogliono trasmettere in diretta lo scempio ambientale, convinti che la visibilità online basti a fermare le ruspe. Ma dopo l’azione dimostrativa, l’aereo precipita nella giungla e il gruppo viene catturato da una tribù cannibale.
Da quel momento, il film abbandona ogni velleità documentaristica e si tuffa nel gore più puro, tra mutilazioni, rituali tribali e una spirale di orrore che non concede respiro.
INCUBO POST-APOCALITTICO DI TIM CURRAN
Dopo l’olocausto nucleare, un gruppo di sopravvissuti si rifugia nel bunker progettato da Lilian, un nascondiglio sicuro fatto di acciaio e piombo... o così sembra. Con un ritmo incalzante e un’atmosfera claustrofobica, Aftermath incalza tra spettri di follia e oscuri desideri, trascinando il lettore in un’odissea dove la più grande minaccia non è la radioattività… ma il male che si cela nell’animo umano. Disponibile in ebook e cartaceo entrambi illustrati.
Roth utilizza effetti speciali artigianali, volutamente realistici, per amplificare il disgusto dello spettatore. Il riferimento a Cannibal Holocaust è evidente, ma The Green Inferno non è solo un tributo: è una riflessione grottesca e feroce sull’attivismo da tastiera, quello radical chic che si nutre di indignazione digitale e selfie solidali, ma ignora la complessità dei contesti in cui pretende di intervenire. Il contrasto tra le intenzioni nobili dei protagonisti e la loro totale impreparazione è uno dei temi centrali del film, e Roth lo mette in scena con cinismo brutale.
La scrittura, tuttavia, è fragile: i personaggi sono spesso stereotipati, ridotti a funzioni narrative più che a individui. La critica sociale, pur presente, non sempre riesce ad andare oltre il bozzetto. Eppure, il messaggio che emerge è disturbante e potente: l’idealismo ostentato, quando non è sostenuto da conoscenza e consapevolezza, può trasformarsi in un boomerang. E il film ci costringe a confrontarci con una verità scomoda.
L’abbiamo pensato tutti: “Beh, un po’ se la sono cercata.”
Perché quell’ardore giovanile, ingenuo e arrogante, ci irrita. Ci mette di fronte alla nostra pigrizia, al nostro cinismo, al nostro immobilismo. E allora, quando gli attivisti vengono divorati, letteralmente, dalle conseguenze delle loro azioni, proviamo un misto di sollievo e complicità. Come se la brutalità che li colpisce fosse una punizione meritata.
È questo il paradosso più inquietante del film: non tanto le immagini scioccanti, quanto il fatto che, in fondo, una parte di noi osserva la carneficina senza indignazione. Anzi, con una certa soddisfazione. The Green Inferno ci mette davanti a uno specchio sporco e ci chiede: quanto vale davvero il nostro impegno?
E cosa succede quando è solo una posa?
(Oreste Patrone)
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