Jessica*

Jessica correva per la sua vita.
Capelli e lentiggini risuonavano con la luce arancione accendendosi in bagliori accecanti. La t-shirt bianca era annodata all’altezza del ventre piatto e tonico, i jeans cortissimi lasciavano nude le cosce abbronzate. Quella strada sterrata sembrava un viale per l'inferno. Il sole scendeva lentamente dritto davanti a lei, dove la strada incontrava l'orizzonte. Una luna di sangue stava per sorgere da qualche parte, nella campagna in penombra. Spalla e mento le inviavano fitte pulsanti. Non ci faceva caso, erano spie luminose agli occhi di un pilota che cerca di evitare la collisione con la parete di una montagna.
Il bastardo l'aveva aspettata all'uscita dal lavoro. Era scappata in macchina e lui si era lanciato all'inseguimento. «Fermati puttana» aveva urlato affiancandola, poi lo aveva seminato. Peccato per il traffico. A pochi chilometri da casa l'aveva raggiunta e speronata, la cinquecento era finita nel fosso accanto a un campo di pannocchie procurandole contusioni a mento e spalla destra. Così si era addentrata dolorante in quel labirinto verde infuocato dal sole di agosto.
Nel chiasso della vegetazione e del proprio respiro affannoso aveva appena udito lo scatto dello sportello di lui. Per un po' aveva finto di credere nell'eventualità che non l’avrebbe seguita, accontentandosi del danno, magari spaventandosi, per poi andare a sbronzarsi in centro. Aveva finto di non ricordare la volta del tizio che gli aveva tagliato la strada e lui lo aveva inseguito per mezz’ora. C'era anche lei in auto quel giorno e aveva cercato in tutti i modi di farlo ragionare. A metà del campo quel «Ti ammazzo, troia» le aveva rinfrescato la memoria riguardo l'uomo che la stava inseguendo.
Da allora tutto era divenuto confuso e a scatti, come diapositive proiettate in veloce successione. Uccelli che volano, urla disumane dietro di lei, il rumore di un aereo, altre urla disumane, terribili, il fosso, il salto e la strada sterrata. Non si era più voltata per vedere se lui le stava ancora dietro. Sapeva che era così, ma non aveva il coraggio di voltarsi. Ricordò gli scrutini a scuola. L'attimo in cui, nelle miti mattine di metà giugno, esitava a scorrere gli occhi a destra del proprio nome. Ammessa, non ammessa. Sapeva di essere brava ma esitava. Ora sapeva che lui la inseguiva e non voleva guardare. Promossa o bocciata? Vita o morte? Volta la testa. Lo fece: una sagoma scura e silenziosa, un cancro la braccava nel panorama irradiato di calda luce. Distante, ma inarrestabile. Ecco l'esito dello scrutinio: morte sicura. A meno che...
A meno che da qualche parte in quella distesa non ci fosse una casa abitata. A meno che non si fosse imbattuta in un cacciatore che col suo fucile avesse fatto saltare la testa al bastardo. Per un istante considerò l'idea delirante di fermarsi e tentare di parlargli. So che mi odi, ma devi fartene una ragione. Tra noi è finita. Va bene mi arrendo, scusa per la macchina. Minchiata surreale, tragicomica. Il cuore le usciva dal petto e il fiato si faceva via via affannoso. Il dolore alla milza diventava sordo e lancinante. Continuò a non curarsene, udiva solo il proprio respiro e il rumore della ghiaia sotto le Adidas bianche.
I messaggi e le chiamate del tipo se non torni con me faccio una strage erano iniziati in primavera, quando lei aveva preso a frequentarsi con Marco. Poi, bloccato il numero, via con le chiamate anonime e i pedinamenti. Si era rivolta alla polizia ma aveva risolto ben poco a parte il consiglio di stargli alla larga e chiamare se le cose si fossero messe male.
Si erano messe male due settimane prima di quel maledetto pomeriggio, all'uscita di Daisy dall’asilo estivo. Sandro l'aveva avvicinata chiedendole di parlare. Lo aveva liquidato. Non aveva alcuna intenzione di parlare con lui, tanto meno in presenza della piccola. L'aveva presa per il collo e spinta contro la rete davanti agli occhi increduli di maestre e genitori. «Ti scopi quel coglione vero? Ora ammazzo anche lui». Alcuni padri erano intervenuti e il codardo se l'era filata.
La mano che le sfiorò i capelli riportò Jessica al presente. Era dietro di lei. L'aveva quasi fatta fuori in macchina e ora stava per prenderla. Dopo tutto il male che le aveva inferto non era soddisfatto. Un'altra mano cercò di afferrarle la manica della maglietta. Lui non fiatava. I predatori cacciano in silenzio. Udì la madre rassicurarla: can che abbaia non morde. Can che abbaia morde, se può ti sbrana.
Il sole aveva appena toccato l'orizzonte quando Jessica cadde stremata. Vide le proprie mani ferite affondare nella ghiaia, il sangue mischiarsi alla terra arida. La palla di fuoco sprofondava ancora una volta. I suoi capelli erano rossi come l'inferno.

Pubblicità

CHI HA PAURA DEI CAPELLI?
Agnese soffre di tricofobia, la paura irrazionale di capelli e peli. La sua vita viene sconvolta da una serie di avvenimenti, disgustosi e macabri, che la conducono in un vortice di paranoia e delirio. Scopri Tricofobia, l'innovativo horror scritto da Ramsis D. Bentivoglio. Disponibile in ebook e cartaceo entrambi arricchiti con 25 illustrazioni.

Buio.
Grilli.
Erba.
Erba sotto di lei, sotto le sue chiappe.
Era nuda e aveva quindici anni. Quella sera di luglio era uscita con Diana e Sabrina e come consuetudine erano andate al Mery's, meta prediletta quando non si ubriacavano di vodka alla frutta in spiaggia o non andavano a ballare al Movida. Erano state agganciate lungo il viale da quei tre ragazzi sulla ventina, abbronzati e spavaldi. Jessica li avrebbe mandati a fanculo se non fosse che le sue amiche sbavavano copiosamente alla vista di quei tre pollastri. In fondo l'idea di qualche giro di rum e pera offerto non era poi così male.
Fabio, il più carino, e a lei era parso anche il più gentile, non le toglieva gli occhi di dosso. Era un ragazzo alto. I capelli neri a spazzola gli donavano un ché di sbarazzino, mentre gli occhi castani, penetranti e le folte sopracciglia le trasmettevano una piacevole inquietudine.
Scaldata da tre giri di shot e davanti gli occhi stupiti e invidiosi di Diana e Sabrina, si era sentita a suo agio quando, seduto accanto a lei, lui le aveva cinto le spalle. Si era sentita a suo agio anche un’ora dopo, quando aveva accettato il passaggio in auto fino a casa. Quella sera le avevano portate al mare i genitori di Diana e la mattina dopo lei avrebbe avuto ripetizioni di matematica. Le altre se la sarebbero cavata benissimo con quei due.
Il canto dei grilli giungeva rapido dai finestrini socchiusi della BMW, unendosi al remix di Chrime Of Passion. I sedili comodi e la voce tranquilla di Fabio le ricordavano i viaggi col padre da piccola. Come quella prima volta a casa di Davide l’inverno prima, si sentiva grande. Voleva fare l'amore con lui.
Si erano baciati in auto, nel piazzale davanti casa. Un bacio lungo e tenero. Lui le aveva accarezzato dolcemente i capelli sotto la luce arancio dei lampioni. Poi, imboccata una strada sterrata poco distante, si erano appartati tra i filari di una vigna. Scesi per guardare le stelle, questa volta lontano da tutto e tutti, le loro lingue si erano incontrate insaziabili, desiderose e le loro mani si erano fatte strada impazienti. Liberatisi dai vestiti, avevano fatto l'amore nell'erba alta accanto all'auto. I grilli e le rane cantavano, la luna e le stelle erano gli unici testimoni.

«Ti scopo. Ti scopo per l'ultima volta».
Quella voce risvegliò Jessica come dall'alto di un pozzo buio e freddo. Passato e presente si sovrapposero. Ricordò tutto: l’inseguimento, la corsa e la caduta. Non era la notte di dieci anni prima. Niente baci appassionati sotto le stelle. Sandro l’aveva spogliata mentre era incosciente, lasciandole addosso solo l'intimo. Voleva violentarla, e chissà cos’altro.
Tornò la vista. Nella penombra del crepuscolo vide gli occhi spiritati del suo ex brillare in un ghigno ebete. La barba incolta e i capelli spettinati rendevano quel viso ancora più grottesco. Si era abbassato i jeans e con una mano le teneva scansato il perizoma nel tentativo di penetrarla. Cercò di alzarsi. Lui la prese per il collo con entrambe le mani schiacciandola a terra. La nuca batté violentemente sull'erba dandole la sensazione che la testa le esplodesse.
«Stai ferma, lurida puttana».
Afferrò le braccia muscolose conficcandovi le unghie più a fondo che poteva. Il bastardo non mollò la presa. Ricordò quando stavano insieme, quanto lui sapesse essere brutale. Quando le afferrava il collo con entrambe le mani mentre la prendeva da dietro. Ricordò il giorno in cui, mentre scopavano all'aperto dietro ad una casa abbandonata, le aveva schiaffeggiato il culo così forte da farla urlare. Ai tempi la cosa la eccitava. Pensò che l'unica possibilità di salvezza fosse fargli credere di volerlo assecondare e approfittare di una sua distrazione. Mollò la presa, lui fece lo stesso tornando a premere il cazzo contro l’apertura asciutta e schiacciandole il petto con l’altra mano.
«Vedo che inizi a provarci gusto. Che c'è, ti mancano i vecchi tempi?».
Gli sputò in faccia. Se ne pentì subito, lui le mollò un ceffone talmente forte che per poco non le fece schizzare via gli occhi. Il ghigno si aprì in una folle espressione di sfida.
Jessica si divincolò scivolando su un lato. Sandro la seguì goffamente con le brache calate. Riuscì a malapena ad alzarsi prima che lui la ributtasse a terra bloccandole entrambe le spalle contro il terreno. Le abbassò il reggiseno fucsia all’altezza dello stomaco lasciando nudi i capezzoli inturgiditi dall’aria della sera. Il cazzo semi eretto della bestia penzolava appena sopra il suo ventre e il fiato fetido le accarezzava il viso. Fu allora che con la mano destra sfiorò il masso tra l'erba alta. Una pulsione primitiva esplose in lei, dirompente come un fulmine.
L'ultima cosa che Sandro vide nitidamente furono gli occhi castani di Jessica che lo fissavano, rapiti da qualcosa che lui ignorava e i capelli rossi sparsi sull'erba scura attorno al viso puntellato. Poi il suo mondo scoppiò nel dolore assoluto.
Si rese conto vagamente di essersi alzato e di camminare in tondo con i jeans abbassati. Vide le proprie mani tremanti portarsi alla testa e il sangue imbrattarle mentre copioso grondava sull'erba. La campagna attorno si fece rossa e liquida. Udì appena le proprie urla di orrore oltre il fischio assordante del cervello spappolato. Nulla esisteva più nella sua mente a parte il terrore. Nel frattempo Jessica si era alzata impugnando il grosso masso con entrambe le mani. Sandro, curvo su sé stesso, scorse appena le sue gambe nude avvicinarsi.
«Ehi bastardo, sono qui!».
Si voltò alzando lo sguardo a sinistra, poi il cielo si aprì in due. Non sapeva che ai tempi del liceo lei era stata una formidabile battitrice di pallavolo. Il suo cranio si spaccò all'altezza degli occhi. Crollò ormai incosciente sull'erba. Lei si inginocchiò sul corpo agonizzante brandendo la pietra tra le mani insanguinate. Andò all'altro mondo accompagnato dai tonfi sordi contro la sua testa fracassata e dalle urla isteriche di lei. Erano scesi all'inferno, ma lui aveva un biglietto di sola andata.
Jessica, esausta, calò per l'ultima volta il masso su ciò che rimaneva della faccia di Sandro. Questo vi rimase piantato come avesse trovato un nido su misura. Si alzò e, guardando il suo ex per l’ultima volta, premette la pietra sotto il tallone nudo, conficcandola a fondo nel cervello. Raccolse i propri vestiti e si incamminò scalza attraverso la campagna buia, da qualche parte la stavano cercando. La luna era appena sorta davanti a lei. Rossa come l'inferno da cui tornava.

*Il racconto originale è stato accorciato togliendone la prima parte, chi volesse leggerlo per intero può richiederlo al mio indirizzo e-mail.

David Verdecchia



CONSIGLI DI LETTURA

» Archivio notizie

RUBRICHE: arte | Audiolibri | Concorsi | Dracula | ebook | editori | Film | Film gratis | Fumetti | Guida alla scrittura | Halloween | Interviste | Isola di Scheletri | Letters from R'lyeh | libri | Necrolexicon | Notizie | partner | Pennywise | Racconti | Scream Queen | Segnalibri | Signora delle Mosche | Teschio d'oro | TV Horror | Videogiochi | Zio Tibia