Presepe agonizzante

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2018 - edizione 17

Il guardiano controllò i padiglioni del presepe vivente, completamente vuoti. Era un lavoro frustrante, ma lo pagavano bene, e qualche soldo in più gli sarebbe stato utile, quell’anno. Il fiato si condensò in una nebbia che conteneva i riflessi argentei della luna, ed il suo cuore perse un battito. Rabbrividì, e non solo per la gelida temperatura invernale: c'era qualcosa, in quelle casupole di contadini e pastori, in quelle stalle, negli alberi e nei cespugli della fitta boscaglia, che gli metteva addosso una indicibile inquietudine. E non gli piaceva. Soprattutto di notte, quando le ombre lo accarezzavano, e sussurravano paure ancestrali. Quel genere di oscurità poteva rendere gli uomini, completamente pazzi. Gli animali riposavano nei rifugi costruiti per l’occasione, le candele tremanti, poste all’interno delle abitazioni vuote, in attesa di spegnersi all’esalare dell’ultima fiamma, osservavano il suo passaggio; gli abiti di scena erano stesi per terra, davanti alle botteghe; vestiti da contadini, fabbri, allevatori, fornai, lavandaie.

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D'un tratto gli sembrò di percepire un movimento nella zona dove i centurioni romani avrebbero trovato posto il giorno dopo: puntò la torcia, ma un urlo gli morì in gola, quando una delle lance gli si conficcò nel petto. Un caldo fiotto di sangue irrigò, come rugiada all’alba, l’erba appesantita dalla neve, facendole assumere un color cremisi. Mani forti lo sollevarono, mentre il suo corpo, piantato sull’asta ed incapace di toccare terra, prese a tremare, squassato da rochi singulti e, dopo poco, si abbandonò al silenzio della morte.
L'assassino lo fissò dal basso e sorrise: quel Natale lo avevano scelto per fare il soldato. Sperò, per l'anno prossimo, di potere interpretare Erode.

Gianandrea Parisi



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