Storia d'inverno

Tommy era il mio fratellino, aveva cinque anni e quando sparì era d’inverno.
Ricordo che faceva tanto freddo e papà diceva che lui, un freddo così non se lo ricordava proprio. Tutto fuori era ghiacciato e ricoperto di neve, la fontana era diventata una specie di alberello di vetro e nel ghiaccio che aveva riempito la vasca si vedevano le sagome rosse dei pesciolini, immobili come sassi.
Quel giorno io e Tommy eravamo fuori e stavamo facendo il pupazzo di neve proprio di fianco al vialetto. Avevamo usato due grandi bottoni colorati per fare gli occhi ed un vecchio vaso di plastica come cappello.
La mamma, dalla finestra avvertì che era pronta la cena ed io corsi dentro immediatamente, mi tolsi giacca e scarponi e sedetti a tavola. Quando si lavora così duramente viene tantissima fame.
Mamma mi guardò, seduta al mio posto e guardò la sedia vuota di Tommy:
- Tesoro, vai a chiamare tuo fratello e digli che la cena si fredda - disse sospirando.
Mi alzai e corsi fino al portone, lo aprii e guardai fuori. C’era solo il nostro pupazzo, che guardava chissà dove con un’occhio rosso ed uno blu. Tommy non c’era.
I giorni che seguirono furono un vero trambusto, la mamma che piangeva, papà che urlava e girava per il quartiere fino a notte fonda, il viavai di polizia, parenti e vicini. Vennero anche due agenti con dei cani per le ricerche in montagna. Tutti cercavano Tommy e tutti continuavano a chiedermi se avevo visto qualcosa di strano quella sera.
Il Natale fu molto triste, io aprii i miei regali da sola mentre la zia in cucina cercava di consolare la mamma, papà, al telefono con la polizia, urlava perché avevano sospeso le ricerche per le festività. I Pacchi di Tommy rimasero sotto l’albero in attesa del suo ritorno.
A Gennaio il freddo ed il ghiaccio fecero scoppiare un tubo e rimanemmo una settimana senz’acqua. Durante quei giorni andavamo nel bagno dei vicini che furono molto gentili a farcelo usare. In quel periodo tutti erano molto gentili con noi, tutti ci dicevano che di qualsiasi cosa avessimo bisogno bastava chiedere, tutti ci offrivano il loro aiuto e tutti ci assicuravano che era questione di poco, di tenere duro e che Tommy sarebbe tornato, ma si vedeva che lo dicevano così, tanto per dire. Perché anche i loro occhi parlavano.
Una volta sentii un poliziotto che diceva a papà che, a parte le nostre impronte, non c’erano altri segni nella neve e che questo era molto strano perché, sia che Tommy fosse scappato, sia che qualcuno lo avesse portato con se (non si parlava mai di rapimento) si sarebbero dovute trovare delle orme che andavano verso fuori, e invece non c’era niente. Quando sentii dire queste cose al poliziotto mi venne un brivido.

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Poi un giorno la mamma urlò, ed io delle urla così non le avevo mai sentite. Era quasi finito Febbraio e da qualche giorno era spuntato un bel sole che cominciò a far gocciolare gli alberi come se stessero piangendo. Anche la fontana aveva ricominciato a zampillare acqua, il ghiaccio che intrappolava i pesciolini, invece, era troppo spesso e avrebbe impiegato ancora un po’di tempo a sciogliersi.
La mamma urlò perché stava rientrando dalle compere e quando fu sul vialetto vide che un pezzo della testa del pupazzo di neve si era staccato ed era caduto a terra. Quando corremmo fuori per vedere cosa fosse successo alla mamma, allora capimmo e vedemmo tutti perché urlava.
Dal buco che si era formato sulla testa del pupazzo spuntava Tommy, o meglio, la sua faccia, visto che il resto del suo corpicino doveva essere ancora nella grossa pancia di neve che lo aveva tenuto nascosto per tutto quel tempo. La bocca era spalancata e piena di neve, anche gli occhi erano spalancati e guardavano all’insù. La faccia era tutta blu tranne il naso che era marrone e sembrava si fosse rinsecchito come una foglia morta. Sembrava guardare spaventato il sole che aveva fatto sciogliere il suo nascondiglio.
Presto si radunò attorno al pupazzo un po’di gente che man mano che arrivava si bloccava lì davanti e non riusciva più a fare nulla se non guardare. Stavano lì e guardavano e basta.
Nessuno si curava della mamma che urlava per terra e del papà fermo in ginocchio con le mani nei capelli e la bocca storta e nessuno si curava di me, che stranamente cominciavo a sentirmi un pochino più rilassata. In una maniera o nell’altra sapevo che ora la situazione si sarebbe risolta, Tommy era stato trovato e non ci sarebbe più stata tutta quella confusione dei giorni addietro. In una maniera o nell’altra tutto sarebbe tornato alla normalità.
Se posso, devo anche dire che ero sollevata di non avere più la responsabilità di essere l’unica a sapere dove si trovava Tommy, devo dire che non so per quanto tempo ancora sarei riuscita a tenere la bocca chiusa e a non confessare dove lo avevo nascosto.

Edoardo Barea



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