Il patto dei draghi

Era arrivato a Lubiana con la solita valigetta nera, diretto a un convegno che non gli interessava. Di sera, libero dagli obblighi, si lasciò attirare da un richiamo che non sapeva spiegare. Camminò fino al Ponte dei Draghi. Le statue di bronzo, illuminate dai lampioni, parevano respirare. Le squame lucide, le fauci semiaperte, gli occhi vitrei che riflettevano il fiume: in quell’istante sentì, nel profondo, che non erano pietra. Erano guardiani vivi, condannati a vegliare per secoli, e lo stavano scrutando.

Più tardi, in un bar annerito dal fumo, confidò al barman che voleva portare con sé un ricordo di quella città, magari un drago inciso sulla pelle, piccolo e segreto, da tenere come souvenir. L’uomo, dopo averlo osservato attentamente, scrisse su un tovagliolo un indirizzo. «Ti attendono» disse, come fosse una formula.

Lo studio di tatuaggi era nascosto in un vicolo umido. Dietro il portone scrostato, l’aria odorava d’incenso e ferro. Il tatuatore, alto e scheletrico, lo accolse con un cenno del capo. «Finalmente sei qui» mormorò, e senza chiedere nulla, gli fece scoprire la schiena. L’ago iniziò a graffiare la pelle, ma invece del dolore arrivò un calore antico, che scendeva nelle ossa. Il piccolo drago pareva vivo e serpeggiava sulla sua spina dorsale.

Tornato a casa, riprese la sua vita fatta di bilanci e riunioni. Ma di notte la pelle si lacerava, le scapole bruciavano come ali in gestazione. Davanti allo specchio vide scaglie iridescenti crescere sulla carne, le pupille ridursi in fessure dorate, ma quella mutazione non lo spaventò.

Quando la metamorfosi fu compiuta, si alzò in volo. Oltrepassò i tetti, le pianure e le montagne, richiamato dal ponte. Là, uno dei draghi si staccò dalla pietra, decrepito, e si dissolse come polvere nel vento. Al suo posto si posò lui, giovane e ardente, pronto a vegliare la città: nuovo custode del segreto che lega il bronzo alla carne, l’uomo al drago.

Sara Boldetti