Quel rumore molesto

Da quasi una settimana quel verso inesplicabile giungeva dal retro della casa dei Carter. Erwin era ormai esasperato, quel suono si ripeteva continuamente notte e giorno, irrompeva nella sua sfera emozionale, frantumandola. I nervi dell’uomo erano scossi, ad ogni ripetizione il suo cuore sobbalzava. Aveva pensato di recarsi dai vicini a dirgli di abbattere la bestia malata che emetteva simili lamenti. Quale animale poteva lanciare quel verso infernale? Verso le 4 del mattino, ancora. Quel drammatico verso lo aveva svegliato da un sonno agitato nella calura estiva.
Aveva urlato ed aveva ringhiato di rabbia - basta! Entrò nel bagno e si lavò violentemente il viso nel tentativo di destarsi completamente, ancora delirante, si precipitò al piano inferiore incespicando, poi aperto uno sgabuzzino, aveva scavato, tra le molte cose inutili accatastate, finalmente trovato uno zaino nero e incartapecorito, ne trasse un panno lercio. Dentro c’era un vecchio revolver calibro .32, con la canna da 2 pollici. Aprì il tamburo e caricò 5 proiettili, richiuse imprecando. Non sopportava i rumori, specie quelli ripetitivi e continui. Erwin è uno che sparerebbe al giardiniere solo per aver spazzato le foglie con un attrezzo a motore anziché il rastrello. Forse appartiene a quel ristretto numero di persone che sparerebbero anche sul giardiniere col rastrello.
Senza fermarsi infilò un paio di sandali che finì di sistemarsi saltellandoci dentro, indossava una maglietta e dei boxer sudati, la rivoltella in pugno. Erwin decise di andare a caccia. Di cosa, non lo sapeva. A grandi falcate avanzava verso quella vecchia casa colonica, ora era più vicino e udì nuovamente la misteriosa emissione sonora, questo lo rese meno aggressivo, aveva sentito anche grugnire distintamente. Ora era sotto casa Carter, nella notte calda e odorosa di fieno ammuffito. Mentre si ritrovava in preda a queste elucubrazioni, qualcosa di nero e voluminoso si era mosso sotto i suoi occhi, 50 piedi avanti, leggermente spostato sulla sinistra proprio sotto il patio della casa. Spaventato si accovacciò, puntando l’arma davanti a sè.
Notò che non vi erano altri rumori oltre alle foglie degli alberi mossi dal vento, non vi erano le cicale e i nittibi, né si udivano le rane che nella mezza estate gracidano continuamente. Quando delle nubi coprirono rapide il disco lunare ebbe l’impressione che una massa oscura si muovesse nelle tenebre, davanti a lui. La forte tensione gli provocò una forte vertigine, tanto che cadde in avanti sul terreno. Si strofinò con una mano la bocca asciutta e impastata, sentiva il bisogno di bere. Dolente e barcollante, afferrò la staccionata bianca e si rialzò. Sentiva quella presenza sgattaiolare silenziosa sul prato alla sua sinistra. Ma nessun rumore.
Tornò verso casa rapidamente, entrato, chiuse il catenaccio e afferrò la bottiglia di whiskey dal tavolo, fece per portarla alla bocca e di nuovo udì quel verso, più forte perché era dietro alla porta, vicinissimo. Posò la bottiglia lentamente. Puntò il suo revolver nel buio verso la porta e poi verso le finestre chiuse. Forse era meglio spostarsi al piano superiore e chiudere anche quelle finestre per poi attendere sveglio la luce del giorno. Nella sua stanza si era accasciato sul pavimento, con le spalle al muro guardando verso la finestra.
Il suo pensiero corse a quell’estate di trent’anni prima, allora aveva dieci anni. Lo zio Roy e sua madre erano ritornati dal paese e mentre scaricavano la merce dall’auto, gli raccontarono che in paese lo sceriffo e il suo aiutante, avevano trovato un forestiero morto. Aveva il petto squarciato e grandi ferite, come colpi di machete dappertutto, cosa ancor più strana, quel cadavere era stato gettato in alto sul tetto di una stalla. Qualcuno ipotizzò che l’uomo fosse un paracadutista o che fosse precipitato da un aereo. Il signor Lom, da una casa adiacente all’edificio, aveva sentito verso l’alba un tonfo molto forte e in seguito lo avevano trovato proprio la. Lo sceriffo e altri agenti venuti da Dallas, avevano indagato il caso nei giorni successivi, esclusero una simile caduta poiché il tetto della stalla non era danneggiato, inoltre non vi era traccia di paracadute o imbracature. Erwin e i suoi compagni di gioco vennero molto turbati da quel drammatico evento e dalle ipotesi che ne seguirono. Per anni, tutti gli abitanti della piccola contea restarono condizionati da quel fatto inspiegabile. Un ragazzino che conosceva e che viveva nella fattoria dei Lom, aveva visto la vittima rimasta senza un nome, e lo aveva descritto agli altri; un uomo barbuto, non si capiva l’età, con i cenci di quello che era stato un abito da città, la testa e il volto resi asimmetrici dalle molteplici fratture, gli occhi mancavano, i denti rotti e l’addome completamente svuotato, si potevano vedere le costole e la colonna vertebrale, l’aspetto era cianotico. Sembrava un animale eviscerato sul bancone della macelleria. Sconvolgente, era la lingua che cascava, allungata in modo innaturale, comico se non fosse stato così macabro. Per la cronaca, si attribuì la morte all’attacco di un coguaro o ad un'altra belva simile fuggita da qualche circo, quel disgraziato fu sepolto senza un nome, nessuno lo reclamò mai. A quei tempi Erwin pensava a quale fortuna ebbe per non averlo veduto, in seguito quella storia si era trasformato nella sua mente ed aveva assunto una valenza terrificante assoluta. Se avesse visto, forse avrebbe accettato quei fatti. Si dice che il diavolo non è così brutto come lo si dipinge. Il tempo aveva sospeso quel ricordo, ma ora eccolo di nuovo, tornò in sé e trasalì. Che cose strane accadevano in quella contea pensò, un errore farvi ritorno, ma se n’era andato via da Amarillo, non c’era niente per lui.

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Alle prime luci, Erwin aprì gli occhi, sfuggendo ai suoi incubi. Tutto era tranquillo, ma che cosa era successo la notte prima? Intorpidito uscì dalla stanza, scese le scale, poi si preparò un merdoso caffè puzzolente che odorava di letame in decomposizione, ebbe un attimo di esitazione, non sapeva se inghiottire l’intruglio o vomitare quello che si scuoteva nel suo stomaco dal giorno prima. Scelse la prima e tracannò quella brodaglia scura rabbrividendo. Ancora il sapore di erbe amare gli riempiva la bocca e il naso, quindi pensò bene di uscire per prendere aria.
Parato dinnanzi a lui, immobile, c’era un essere enorme, terrificante, il suo cervello tentando una fuga dalla realtà, gli fornì meccanicamente, immagini comparative da “L’Avvoltoio” di Kafka dove un uomo di ritorno a casa viene assalito da un diabolico rapace. Erwin sebbene fosse terrorizzato, cominciò a ridere, sembrava impazzito, pazzo da legare, se quella orrenda creatura avesse avuto un minimo di intelligenza, anziché provare a divorarlo; cosa che fece, avrebbe dovuto infilargli una bella camicia di forza. Erwin urlava e rideva e quella specie di gigantesco avvoltoio deforme, uno scherzo della natura?! era proprio lì davanti.
Quell’orrore vivente gli sferrò alcuni colpi col becco adunco, asimmetrico ma lui li schivò; era infatti sempre stato abile a schivare le cose spiacevoli. Un altro affondo, sebbene lui si fosse scansato fulmineamente, gli scavò nella carne della coscia destra ma questo gli diede il tempo di decidere qualcosa. E infatti, mentre la bestia si era concentrata su quel brandello di carne per divorarlo, lui ridendo istericamente, singhiozzando aveva afferrato una lunga falce appoggiata sulla parete a lato del suo uscio. La alzò in alto con le braccia e sorretto dalla sola gamba sinistra, lanciò un grido da guerriero apache e schiantò la lunga lama affilata, su quel cranio deforme e gigantesco, con uno schiocco sordo ne staccò una grossa porzione, carne, ossa, materia gelatinosa e la bestia cominciò a saltare e a frullare le enormi ali spennate furiosamente. Tentava di prendere il volo alzando nuvole di terra e sangue, colpendo anche l’uomo. Erwin rideva, rideva come non aveva mai fatto in vita sua, nonostante il forte dolore alla gamba, la terra impastata col suo sangue modellava su di lui una creta macabra.
L’uccello infernale in tutta la sua stazza era riuscito ad alzarsi a circa una trentina di piedi, emettendo forte, un lamento rauco e terrorizzato. Si allontanava sollevando polvere e sterpaglie, lui la osservava col sorriso sulle labbra, sorriso che velocemente divenne un ghigno e quando vide crollare la bestia, all’altezza della casa dei Carter, egli urlò e scoppiò in una risata fragorosa. Doleva in ogni parte del corpo ma prese a zoppicare verso quella “cosa” che morendo, scrollava ogni tanto una zampa o scuoteva un’ala. Raccolse erba secca e rami, accatastò molta legna intorno all’orrido trofeo. Era felice, si tolse i boxer a brandelli e si strinse una corda all’inguine. Dopo accese il rogo, sorseggiando la bottiglia di whiskey; intanto con un ferro scannava quella carogna al fuoco. L’enorme uccellaccio assomigliava vagamente ad un tacchino. Rideva e ne masticava le carni leggermente amare. Ogni tanto, in quel puzzo fumoso, lanciava un urlo e rideva convulsamente, poi il ventre dell’essere esplose. Erwin era folle di gioia e di dolore.

Arthur Bishop Jr



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