Tekeli-li

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2018 - edizione 17

«Non mi abituerò mai!» pensava Andrew Flanaghan, l’archeologo della spedizione americana che, proveniente dalla stazione McMurdo, si stava dirigendo insieme con altri cinque scienziati verso le famose Valli Secche, la più estesa superficie libera dai ghiacci in Antartide.
La neve lo faceva impazzire; solo lo calmava l’impareggiabile spettacolo del cielo australe. Milioni di stelle punteggiavano il firmamento e lui ormai le conosceva tutte: il Centauro, la Croce del Sud, la nave Argo e le nubi di Magellano. Il suo gioco preferito era quello di tormentare il suo amico paleobiologo Henry Gump, gareggiando a chi individuava più costellazioni.
L’ultima missione, prima di tornare a casa, era controllare un nunatak, un picco isolato a forma di piramide che gli ufologi consideravano una costruzione lasciata in tempi remotissimi da alieni che potevano viaggiare nel tempo.
I giorni precedenti, nel buio più completo della notte invernale, strani riverberi e suoni confusi provenienti dal picco avevano fatto presumere che una grande colonia di pinguini si fosse spostata lì per la cova.
Muniti di torce, indossando le loro bianche tute termiche, giunsero alla base del nunatak, in cima al quale scorsero volute di fumo che lasciavano presagire una modesta attività vulcanica.

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IL CANTO DI VETRO
Arizona. Un uomo si fa esplodere all'interno del centro di ricerca aerospaziale St. Lucy. Palermo. Nell'ambiente della criminalità serpeggia il misterioso “Canto di Vetro”: è il nome di una nuova droga o il folle messaggio cifrato dei terroristi? Un poliziotto dell'antiterrorismo indaga e scopre quanto è spaventosa la verità che collega questi due eventi. Il raffinato horror di Francesco Corigliano è disponibile in ebook e cartaceo illustrato

All’improvviso si materializzarono davanti a loro sette individui avvolti in pesanti abiti di lana nera finemente plissettati. Tutti a capo scoperto, completamente rasato, erano guidati da un nano dall’aspetto raccapricciante, che indossava gioielli che sembravano di fattura egizia; accanto a lui uno schiavo con un parasole!
L’assurdità della scena si complicò, quando il nano, puntando l’indice verso le loro tute bianche, esclamò:
«Tekeli-li!»
Mentre le torce si spegnevano e gli strani selvaggi li assalivano, accoltellandoli, Flanaghan ebbe solo qualche secondo per ricordare che quello era, secondo Poe, il grido degli indigeni antartici, impauriti dal colore bianco, descritti nell’autentico diario di viaggio di Gordon Pym!

Roberto Masini



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