300 Parole 2025: scadenza 31 ottobre

La follia di Bedlam

Cosa c’è di più inquietante della mente umana? Siamo a Londra, al Bethlem Royal Hospital, ovvero Bedlam, una delle più antiche istituzioni che riguardano la sanità mentale. Fondato nel 1247, era destinato ad ospitare i senza tetto, ma ben presto concentrò le attenzioni su coloro che venivano considerati pazzi. I pazienti non potevano soggiornare per oltre dodici mesi, e appena fuori, i Bedlamites, così venivano chiamati gli ex-pazienti, potevano chiedere l’elemosina sulle strade principali che portavano nelle grandi città.
Nel 1547 passò sotto il controllo di Londra, e fino al 1800 rimase l’unica struttura pubblica che si occupava di malattie mentali in tutta l’Inghilterra.
Bedlam divenne ben presto l’incubo di molte persone, incuteva paura al solo sentirlo nominare. Molti pazienti erano persone del tutto sane di mente, ma il fatto stesso che andassero contro un'istituzione o personaggi noti, li rendeva “scomodi” per cui pazzi. Vi erano rinchiusi anche assassini, ladri e prostitute, tutti accusati d’avere qualcosa di malato nella mente.
Chiusi a Bedlam dovevano subire i vari maltrattamenti, medicina per la mente, secondo chi dirigeva l’ospedale.

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Verso la fine del 1700 Bedlam venne aperto al pubblico. Due lunedì al mese si poteva, dopo aver pagato l’ingresso, entrare e visitare l’ospedale, andando in giro ad osservare i pazienti. La pazzia divenne una forte attrazione per la nobiltà Londinese, e non solo.
Nel 1820 l’ospedale venne ricostruito, la struttura precedente era stata dichiarata fatiscente e piccola. Il nuovo ospedale aveva celle per numerosi pazienti, si presumeva potessero ricevere un diverso trattamento, poichè nelle precedenti strutture e secoli, i pazienti erano costretti a dormire per terra sulla paglia, legati al muro con delle catene. Fu pura illusione, anche nel nuovo Bedlam, ai pazienti, venne riservato un trattamento pessimo.
Molti uomini vennero legati al muro con delle catene, altri avevano il “gilet”, una sorta di camicia di forza, mentre un uomo, W.J. Norris, fu trovato legato al muro con una catena, un anello al collo e uno in vita, di modo che potesse spostarsi non più di dodici centimetri dallo stesso muro. Rimase così per dodici anni.
Le donne invece venivano legate ad un braccio o alla caviglia, sempre con una catena, ed erano coperte da un unico indumento che fungeva da abito e da coperta.
Norris, fu anche l’elemento che scatenò varie discussioni al di fuori della struttura. Si mossero i parlamentari, lo interrogarono, e dopo poco la sua liberazione morì.
Dopo che la commissione parlamentare si riunì, a Bedlam vennero cambiate molte cose. Furono diversi i personaggi che vissero, e alcuni morirono, tra quelle mura. Margareth Nicholson, accusata d’aver cercato di colpire il re, passò a Bedlam quarantadue anni, e vi morì. James Hadfield, accusato d’aver sparato al Re, venne rinchiuso nel 1802 e quarantuno anni dopo muore nella cella in cui, per gran parte del tempo, aveva scritto i suoi versi, e i suoi pensieri sulla prigionia.
A Bedlam non si usavano solo le catene per tenere a bada i pazienti, ma poiché si pensava che la pazzia potesse esser controllata attraverso salassi, purghe, vomiti e vesciche, come se la fuoriuscita di liquidi portasse via il male, i trattamenti a cui erano sottoposti i pazienti erano vari.
Dal 1728 al 1855 Bedlam venne controllato da una sola famiglia: i Monro, i Mad-doctors.
La storia di questo Mausoleo della pazzia fu portata anche sul grande schermo da Mark Robson, e interpretata da Boris Karloff.
Dopo aver letto i documenti, le storie, le crudeltà subite dai pazienti, una domanda continua a martellarmi in testa: siamo sicuri che la pazzia era dentro, e non fuori le mura? (Viviana Guiso: 2 maggio 2012)



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