Choir of ill children

Il prossimo luglio segnerà il primo anniversario della morte di Tom Piccirilli, e al mondo della narrativa horror è venuta a mancare, e per una volta non è certo solo un modo di dire, una delle sue voci più originali e suggestive.
Normalmente in queste pagine cerco di occuparmi di narrativa in lingua originale quanto più vicina possibile al presente, ma in questo caso credo che sia il caso di fare una piccola eccezione e tornare qualche anno indietro, poco più di una decina, per segnalare un autore che ha trovato anche, in alcune occasioni, la via per la pubblicazione in Italia, ma che rimane ancora in larga parte sconosciuto qui da noi.
Tom Piccirilli ha avuto una produzione vasta, con una trentina e più fra romanzi e racconti lunghi, senza contare un nutrito gruppo di racconti e partecipazioni a molte antologie, e come accade a molti autori prolifici la sua produzione è comunque altalenante e suddivisibile fra lavori che appaiono più commerciali e meno personali e altri che, al contrario, trasudano originalità e potenza narrativa da ogni pagina.

 

Per presentarvelo ho scelto quello che per me, ma anche per molti esperti statunitensi e una grossa fetta dei suoi fan, è il suo romanzo più riuscito, A choir of ill children.
Nella contea di Kingdom Come, Louisiana, costituita da bayou e paludi, Thomas è l'erede della famiglia più ricca e vive, odiato e rispettato, in una grande casa insieme ai suoi tre fratelli.
I tre fratelli in questione sono gemelli siamesi uniti per la testa: condividono pensieri e secrezioni ormonali, parlano attraverso poesie ed enigmi ed esercitano strani e potenti magnetismi sessuali sulle ragazze che capitano nella casa.
Ma una tempesta, che durerà giorni e giorni, è in arrivo e le vecchie del luogo, ancorate a tradizioni e superstizioni, pretendono un sacrificio da parte di Thomas, l'unico in grado di calmare i morti e il passato che, implacabile, torna a confrontarsi con la città.
Thomas dovrà riuscire a dar senso al passato e vincere fantasmi e "mostri" ben più reali per reclamare il posto che gli spetta di diritto a Kingdom Come.

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Se amate autori come James Lee Burke o William Faulkner e/o ammirate lo stile di scrittura di Ray Brabdury è probabile che in un modo o nell’altro vi potrebbe interessare la qualità della prosa di Tom Piccirilli che, proprio in questo romanzo (più che in certi lavori alimentari), esplode con una potenza poetica cui raramente ho trovato pari nel genere.
Piccirilli gioca con tutti gli stereotipi del genere e crea prima di tutto una imponente aggressione ai sensi del lettore, senza risparmiarne nessuno.
Veniamo immersi lentamente nel bayou, fra i suoi morti, le piante, la natura lussureggiante e malsana, la profonda superstizione degli abitanti e la potente sensualità delle donne e senza accorgercene finiamo impantanati, insieme a loro, in un labirinto mentale che rispecchia quello fisico e viceversa, una serie di feedback che ci incolla a un quadro fisso, all'interno del quale non sono possibili evoluzioni di sorta.
La prosa dell'autore, la qualità delle metafore e dei simboli usati e la perfezione (sebbene innaturale, artefatta) dei suoi dialoghi è qualcosa cui non siamo abituati, in Italia, più o meno, appunto, da certi romanzi di Brabdury, scrittore con il quale Piccirilli condivide una delicata e florida ricerca poetica.

 

Thomas, protagonista e io narrante della vicenda, è intrappolato in una situazione priva di scampo, schiacciato fra i fantasmi del passato (il padre folle che dilapida una fortuna nel tentativo di bonificare una palude invincibile e quindi si suicida, la madre alcolizzata e in cerca di facili brividi con la manovalanza locale, un gemello siamese di cui ancora conserva le cicatrici sul corpo, la triade delfica dei suoi fratelli, una ragazza con la quale si era "sposato" da bambino, un killer pedofilo che aveva lasciato morire nella palude, divorato dagli alligatori...) e quelli del presente (una troupe che arriva in casa per filmare i suoi fratelli con la cui presentatrice che finisce per innamorarsi follemente di uno di loro, le vecchie streghe locali che danno a lui tutta la colpa per la tempesta, una misteriosa e sensualissima ragazzina che appare un giorno su un lastrone di roccia usato da tempo immemore per riti di vario tipo...) e tenta comunque, in maniera ammirevole, di seguire fino in fondo la sua strada, pur sapendo quanto questo posa costargli.

 

E come in ogni gran festival di southern gothic che si rispetti, la fiera, il carnival alla fine arriverà in città, con il suo carico di giocolieri, maghi, saltimbanchi e... e mostri, geek, freak, chiamateli come vi pare.
E la città, man mano che si procede nella narrazione, diventa sempre più la vera protagonista di un libro pieno di personaggi memorabili.
Thomas, ovviamente, con la sua incredibile calma e una intelligenza inadeguata al posto in cui vive. E i suoi tre fratelli, uniti per la testa, ognuno che fronteggia da sempre e per sempre gli altri due senza mai poter vedere all'esterno se non con la sfocata e indistinta visione laterale, impossibilitati a lasciare la casa.
Caratteristico è il modo in cui parlano, dividendosi in pratica certe aree linguistiche e determinati suoni, così come fanno con i sentimenti e le pulsioni, con il fiato e le secrezioni, ognuno di loro particolarmente disposto vuoi verso l'odio vuoi verso l'amore o, ancora, l'intrigo e la rabbia. Le loro emozioni si fondono, alle volte uno predomina sugli altri, alle volte vi è una sintesi quasi perfetta ma si ottengono sempre e comunque effetti ammalianti, ricchi di un fascino torbido, come se stessimo spiando in una stanza che dovrebbe rimanere segreta.

 

Vi sono poi comprimari di ogni tipo, dal figlio del prete, il più grande amico di Thomas, che si porta dietro la dannazione dell'epilessia fino a vecchie che abitano nella palude e di cui nessuno conosce con esattezza l'età, pronte a tagliarsi pezzi di dita per compiere i loro strambi sortilegi. E tutti sono dipinti in modo vivido attraverso le loro azioni, i loro comportamenti, tic, malattie, parole.

 

L'unico appunto che mi sento di fare a Piccirilli è una certa tendenza a elevare, spesso, i discorsi di molti dei personaggi, diversi fra loro, a un altissimo standard uniforme, con la dittatura della bella parola che alle volte rischia di rovinare il quadro generale.
Ma è danno di poco conto a fronte di frasi così efficaci, capaci di rimanere nella memoria molto, molto a lungo.
Insieme alla città è appunto la palude, meglio ancora la natura a dominare intere pagine del libro con una presenza sensuale e terrificante, uno dei migliori esempi di natura "panica" letti negli ultimi anni, da parte di un autore dotato di un vocabolario ben più ampio della media.
Vocabolario che trova ottimo impiego ogni volta che ci si ritrova a girare per il bayou: avrò contato come minimo una trentina di nomi di piante diversi, senza parlare degli animali, il tutto a creare un impatto formidabile, una lingua lussureggiante come la natura che essa descrive.
E se l'ambiente ha questa efficacia, che dire di una serie di personaggi che non vengono mai presentati con i classici schieramenti di bianco e nero, di Male e Bene, di cattivo e buono, garantendo così un moltiplicarsi indefinito, a ogni livello, di vari tipi di conflitti, sia interni che esterni tutto sommato inusuali in questo genere di narrativa. Troviamo qui un continuo formarsi e disfarsi di fragili alleanze e instabili legami, una serie di comportamenti ambigui e difficili da inquadrare.
Famiglia, religione, senso di appartenenza e responsabilità verso una comunità e tanto altro ancora vi saranno svelati in questa fiaba gotica dove si beve obbligatoriamente moonshine e ci si ciba di oxtail soup, occhieggiando ora i fantasmi (che contano a tutti gli effetti come abitanti della città) e ora le cosce nude di una ragazza; ora imbattendosi in cadaveri restituiti dalla palude e altre volte scoprendone alcuni mummificati e ben nascosti nei solai.

E così via, in un continuo carosello fra le paludi durante il quale molti, molti segreti verranno svelati e molte, molte delle convinzioni che ci eravamo fatte, da lettori, distrutte. I segreti, specie quelli custoditi in famiglia, sono uno dei cuori pulsanti del Nuovo Gotico del Sud e qui ve ne sono di ogni tipo, tanto che spesso vi verrà da domandarvi chi sia chi e chi abbia fatto cosa.
Fino, ovviamente, al climax finale (o meglio, prefinale) che si svolge in occasione del carnival e di cui taccio per lasciarvi il piacere della scoperta. Carnival che irrompe dalla penna di Piccirilli con la consueta tavolozza di colori cui spero di avervi già abituato e di cui vi regalo l'ultimo esempio...
A Choir of Ill Children
Tom Piccirilli
Bantam, 2004 Brossura, pag. 240
(Elvezio Sciallis)

Elvezio Sciallis: Non vi deve interessare chi sono. Leggete quanto scrivo e discutete di quello: chi sono non è importante, sono solo (cambia una consonante) una persona qualunque, appassionata di cinema e letteratura, specie quel cinema e quella letteratura che giocano e dialogano con il Perturbante. Ho all'attivo alcune pubblicazioni in antologie collettive e personali. Ho collaborato con diverse riviste cartacee e online. Traduco dall'inglese all'italiano videogiochi e testi per alcune società estere.



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