Wild Fell: A Ghost Story di Michael Rowe

1960, città di Alvina, nell’Ontario. Una giovane coppia sfida la sorte penetrando nell’enorme magione di Wild Fell, su Blackmore Island. La casa ha una orrenda reputazione a causa di tragici fatti passati e qualcosa di soprannaturale e maligno la abita, predando sugli incauti. I due fanno una fine orrenda. Qualche anno dopo Jameson Browning acquista Wild Fell, è insieme un affare vantaggioso e un posto molto comodo a causa della sua vicinanza con l’istituto dove suo padre sta morendo di Alzheimer, in più la villa è molto isolata e quindi adatta per un uomo cui la vita non ha riservato troppe gioie, fra bullismo e tremendi rapporti con i genitori in giovane età e relazioni disfunzionali che non son mai durate a lungo, fino al recente divorzio che ha lasciato a questo quarantenne ben poche illusioni sulla possibilità di una vita felice.
Jameson imparerà fin troppo presto che la casa è infestata e che dovrà riuscire a confrontarsi con lo spettro che la abita (e con gli spettri del passato) o diventarne la più recente vittima.

 

Ma come, Elvezio, ti chiedono di scrivere qualche intervento per presentare alcuni autori e romanzi poco noti in Italia, sfornare qualcosa di nuovo e poco conosciuto, e tu te ne arrivi bel bello con una classica storia gotica di case infestate e fantasmi???
Ebbene sì, ma a mia discolpa posso dire che da un lato non si tratta certo di una narrazione tanto ordinaria e che dall’altro ci sono in ballo alcuni sottotesti parecchio interessanti e in definitiva inconsueti, che fanno meritare al secondo romanzo di Michael Rowe (già autore dell’intrigante ma incompleto e farraginoso Enter, Night) un posto d’onore fra i generici tentativi di riformulare e rimodernare il gotico.

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Dopo un inizio a razzo, pieno di sensualità e che sembra più collegato a certi horror degli anni Ottanta, ecco che non appena entra in scena il personaggio di Jameson, Rowe cambia marcia e prospettiva (da terza a prima persona) e ci trascina lentamente e inesorabilmente in una ragnatela nella quale soprannaturale e psicologico si alternano con dosaggio sapiente, lasciandoci sorpresi (e, almeno nel mio caso, in una occasione anche quasi “ferito” da una certa rivelazione/implicazione che qui non posso illustrare, pena spoiler) e sempre più prigionieri delle stanze di Wild Fell.

 

La narrazione prosegue su due piani cronologici diversi, quello attuale e quello riguardante l’infanzia di Jameson, un ragazzo delicato e femmineo, che ha (in un gioco di contrasti un po’ ovvio ma condotto comunque con bravura) in Lucinda, che vuole essere chiamata Hank, la sua sola amica, ben più mascolina, dura e decisa.

 

Jameson è vittima di bullismo da parte degli altri ragazzi e non può nemmeno trovare più di tanto rifugio a casa, perché se suo padre è un uomo dolce e comprensivo, sua madre è invece ben altra pasta e, in uno degli elementi di maggior pregio dell’intero romanzo, incontrerete una figura indimenticabile, una donna fredda e odiosa, totalmente inadatta al ruolo di madre.
Dimenticavo di dirvi che Jameson, durante l’infanzia, ha avuto anche un altro importantissimo amico, una bambina immaginaria, Amanda, che scorge nello specchio e percepisce come il suo vero sé.
Ma Amanda è davvero solo “immaginaria”?

 

La figura di Jameson, così come tutte le altre, è ritratta con profondità, ricchezza di dettagli e sfaccettature a 360 gradi: Rowe non distoglie lo sguardo del narratore dai particolari più scomodi e presto vi troverete a provare una empatia anomala nei confronti dei vari personaggi del romanzo, tutti ritratti a tutto tondo, evidenti e profondi difetti compresi.
Imparerete quindi che Jameson non è esente da disturbanti e violenti accessi d’ira, che lo portano quasi a uccidere un altro ragazzo in una memorabile scena su un autobus e che anche altri personaggi potrebbero non essere quello che avete inizialmente pensato. È in questo meccanismo di rivelazioni e dubbi che si nasconde il cuore più potente del romanzo, cuore che è aiutato in maniera decisiva da alcuni altri organi vitali...

 

Amanda, ovviamente, gioca un ruolo fondamentale e agisce da ponte ectoplasmatico fra passato e presente, così come giunge a fare Wild Fell tutta e quel che è accaduto nelle sue stanze tanto tempo prima.
Non è terreno facile da affrontare senza correre il rischio di rovinarvi sorprese e svolte, mi limiterò quindi a dire che la magione un tempo era proprietà di un milionario che abusava di sua figlia, fate voi le varie operazioni matematiche e traetene qualche conclusione.

 

Altro buon punto di forza dell’autore è la sua attenzione nei confronti della regione della cosiddetta Georgian Bay nell’Ontario, una zona ricca di fascino, leggende, miti e storie da raccontarsi attorno al fuoco: il suo impiego quale ambientazione della vicenda aggiunge un protagonista e l’ambiente più adatto per una revisione contemporanea di alcuni topoi gotici.
La ricerca di innovazione nel genere è sempre e solo una questione di zoom, di quanto allarghiamo o restringiamo il campo della nostra percezione e analisi, ed è sempre facile per chi ama i giudizi tranchant e negativi affermare che non si scrive nulla di nuovo da tantissimo tempo: Michael Rowe cerca di dimostrare il contrario nel campo del gotico e con questo suo Wild Fell: A Ghost Story sono già due i romanzi nei quali affronta figure ritenute ormai usuratissime riuscendo a regalarci prospettive diverse e ben degne di lettura e attenzione.
Wild Fell: A Ghost Story, Michael Rowe, ChiZine Publications (2013, 300 pagine) (Elvezio Sciallis)

Elvezio Sciallis: Non vi deve interessare chi sono. Leggete quanto scrivo e discutete di quello: chi sono non è importante, sono solo (cambia una consonante) una persona qualunque, appassionata di cinema e letteratura, specie quel cinema e quella letteratura che giocano e dialogano con il Perturbante. Ho all'attivo alcune pubblicazioni in antologie collettive e personali. Ho collaborato con diverse riviste cartacee e online. Traduco dall'inglese all'italiano videogiochi e testi per alcune società estere.



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