Ogni luogo un delitto

di Flavio Troisi - pagine 213 - euro 16,00 - Autori Riuniti

Potremmo chiamarla “La maledizione del Troisi”. E, d’altro canto, cosa sarebbe un libro se non influenzasse i pensieri, le azioni ed il vivere quotidiano?
Succede questo: la nostra generosissima compagnia ferroviaria di bandiera mi regala l’opportunità di un upgrade per il mio viaggio, dalla seconda classe alla business. Con la mia copia di “Ogni luogo un delitto” stretta sottobraccio, salgo sul treno seguita da un ragazzo ed una signora, entrambi dalla carnagione olivastra. Impulsivamente e senza accorgermene metto al sicuro i bagagli, nell’assurdo timore che fossero saliti per arraffare qualche valigia incustodita. All’infondata paura istintiva sono seguiti sensi di colpa e tumulti interiori, poi mi sono rilassata.
Nel corso del viaggio ho avuto modo di scoprire che si trattava di un giocatore di calcio professionista e della sua mamma, di origine centroamericana. Improvvisamente erano loro a dovermi temere, una borghesotta con un biglietto super-economy ed un fortuito avanzamento di classe.
Il libro che stavo leggendo è nato proprio da un episodio simile, l’autore ha cercato di esorcizzare alcuni sentimenti (e risentimenti) che nascono in noi spontanei, irrazionali e non sempre arginabili, come la paura dei tuoni.

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Troisi ha creato una “tragedia dell’imbroglio” in cui gli equivoci si susseguono per ribaltare di continuo la visione che il lettore ha dei personaggi. La lotta al “diverso” trascende razza, cultura, posizione sociale e finanche grado di parentela per diventare un veleno che produciamo e assorbiamo quasi inconsapevolmente in un pericoloso mitridatismo dai risvolti imprevedibili.
Sullo sfondo della maestosa Val di Susa, in una sorta di replica dei misfatti orditi a danno dei partigiani quasi 75 anni prima, si staglia la peggiore umanità, incline all’odio fine a sé stesso, che con implacabile ferocia agisce come una sorta di re Mida al contrario, cercando spasmodicamente di possedere ricchezze eteree che non possono appartenerle.
Il linguaggio è ricercato, in alcuni punti forse troppo, e trasuda l’impegno dell’autore nell’utilizzare la parola più corretta e musicale. Geniali alcune metafore, che a volte meritano un’immediata rilettura, e mirabile la capacità di creare alcune situazioni comiche che smorzano la gravosità degli eventi narrati.
Se questo è l’esordio, non ci rimane che attendere il seguito.
Voto: 7,5

Incipit
Naturalmente sta piangendo. Piangono sempre, prima. È bloccata mani e piedi, come è giusto che sia. Non può fuggire né muoversi, può solo invocare.

Mi chiamo Liana Africa, sono nata a Reggio Calabria nel 1988 e faccio il medico.
Avevo 9 anni quando guardavo con invidia la collezione di libri di King che arrivavano per corrispondenza ogni mese a mio cugino.
Non avevo il permesso da parte dei miei zii di leggerli e dunque rimanevo ore a guardarne le coste ed immaginarne le storie.
Un bel giorno vidi “Misery” tra gli scaffali di un ipermercato e chiesi ai miei genitori se potevo averlo; non vi furono obiezioni, nonostante l’ascia sulla copertina. Misery terminò due giorni dopo una crisi bulimica di lettura e da lì in poi la mia vita cambiò: avevo scoperto la letteratura horror.



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