Io sono Providence (3 volumi 1890-1920, 1920-1928, 1928-2010)

di S.T. Joshi - pagine 620 - euro 29,00 - Providence Press
di S.T. Joshi - pagine 560 - euro 29,00 - Providence Press
di S.T. Joshi - pagine 1844 - euro 32,00 - Providence Press

Sono tempi particolari per H.P. Lovecraft: da un lato la sua popolarità ultimamente è molto cresciuta e il suo nome è diventato familiare presso una fascia di pubblico più vasta rispetto al passato quando in Italia se lo filavano in pochi come negli anni ʼ70. Anche se la sensazione è che l’interesse rimanga in qualche modo in superficie: i Miti di Cthulhu vengono oggi citati dagli appassionati di giochi di ruolo e giochi da tavolo ma magari i suoi racconti neanche vengono letti e il tutto si limita all’identificare Lovecraft con un tentacolo. In questo modo l’estetica e il pensiero filosofico che stanno alla base dei Miti di Cthulhu vengono completamente dimenticati e messi in secondo piano. Dall’altro lato la sua figura è stata sacrificata e messa al rogo sull’altare del “politicamente corretto” che lo dipingono come un misogino razzista.

Come se l’arte dovesse essere didattica e veicolare messaggi rassicuranti. Io rivendico all’arte la caratteristica di essere anche immorale. Sono sinceramente amareggiato e disgustato da tutto questo veleno immotivato ma viviamo in tempi oscuri. Ricordo come, all’indomani della strage compiuta da Gianluca Casseri, l’estremista di destra e appassionato di Tolkien e Lovecraft che uccise due senegalesi a Firenze nel 2011, su La Stampa venne bollato sbrigativamente da una giornalista come scrittore razzista. Lovecraft era, come tutti, figlio dei suoi tempi per cui certe sue posizioni vanno contestualizzate e oggi non sono più attuali. Sicuramente molte sue idee sono scomode per certa critica “buonista” e, purtroppo, hanno portato ultimamente a una campagna denigratoria nei suoi confronti tanto che è stata rimossa la sua statua dal premio del World Fantasy Award. Al di là di come la pensava Lovecraft quello che rimane è la sua arte: la sua scrittura visionaria ha spalancato abissi cosmici incommensurabili e ci ha fatto vedere il nostro ruolo infinitesimale nel Cosmo. Sono molti a sentirsi a disagio nei confronti di Lovecraft e questo succede anche con molti scrittori che, pur ammirandolo, non nascondono le loro riserve. I Miti di Cthulhu in questo senso sono il simbolo della degenerazione della civiltà occidentale.

Ora finalmente a fare chiarezza sul Solitario di Providence anche in Italia è stata pubblicata in 3 volumi (a cura della meritoria Providence Press) Io sono Providence, la sua monumentale biografia a cura di S.T. Joshi. In questo modo tutti i lettori italiani potranno farsi un’idea del suo personaggio di cui spesso si è parlato a sproposito senza lasciarsi condizionare dalle varie interpretazioni. Personalmente mi interessa forse di più la figura di Lovecraft rispetto ai suoi stessi racconti (che pure adoro).

Il periodo preso in esame nel primo volume (1890-1920) si concentra sulla sua infanzia e sulla sua giovinezza e sull’educazione ricevuta. Nel libro si narra, con dovizia di particolari che rendono gustosa la lettura all’appassionato, di come Lovecraft crebbe in una famiglia agiata ma purtroppo alcuni avvenimenti nefasti, come il ricovero del padre e la morte della madre, ne minarono il carattere. La madre lo dominava in tutti i modi facendogli credere di essere talmente brutto da terrorizzare i suoi coetanei. Alla fine verrebbe da dire che per godere del sublime magari serve una madre troppo possessiva. Per lui durante l’infanzia fu fondamentale la figura del nonno Whipple V. Phillips (che fece le veci del padre ospedalizzato a causa della sifilide) che, con la sua grande cultura, mise sulla giusta strada il bambino il quale, anche grazie a lui, si appassionò al mondo classico e alla storia degli antichi romani. All’epoca HPL si considerava un fervente pagano.

Wipple Phillips era inoltre un amante della letteratura gotica (in particolare della Radcliffe) e apparentemente meno di Poe. Tuttavia fu proprio la lettura di Poe a dare un vero e proprio scossone nervoso a Lovecraft. Fra il 1919 e il 1921 conobbe la narrativa di Lord Dunsany che per lui rappresentò un’influenza molto importante nella prima fase della sua narrativa (oggi i cosiddetti “racconti dunsaniani” ci appaiono i più noiosi della sua produzione). Ebbe modo di leggere la narrativa dell’altro suo grande maestro Arthur Machen solo nel 1923 e quella di William Hope Hodgson (molto importante nel definire il suo orrore cosmico) solo nella fase finale della sua esistenza. Ha avuto una comprensione profonda della narrativa weird, un genere di cui conosceva i meccanismi e che ha rinnovato profondamente spostando l’orrore dagli antichi e vecchi orpelli gotici al cosmo. Fra le sue passioni dell’epoca, oltre alla letteratura fantastica e all’amore per “l’antico e il perenne”, c’era anche la scienza (divenne un chimico provetto). Si interessò inoltre di astronomia e ipotizzò l’esistenza di Plutone prima della sua scoperta. Punto dolente fu il suo essere razzista (in una lettera si definisce orgogliosamente antisemita).

Nel secondo volume vengono invece analizzati gli anni dal 1920 al 1928, un periodo cruciale in cui morì la madre, si sposò con Sonia Greene e si trasferì a New York. Non era sicuramente una persona facile, la moglie ha testimoniato come fosse difficile stargli vicino e come non fosse adatto alla vita di coppia. Ebbe in quel periodo contatti fitti con la stampa amatoriale che lo portarono a entrare in contatto con diverse personalità di questo mondo. Fu allora che iniziò a confrontarsi con il mondo delle riviste pulp come la celebre Weird Tales. La morte della madre fu una vera e propria liberazione in quanto lo aveva oppresso e limitato in tutti i modi. A New York Lovecraft si confronterà con la realtà pazzesca della metropoli e proverà sgomento al brulicare degli immigrati stranieri. Ma sicuramente il confronto con gli orrori del mondo moderno saranno uno stimolo per la sua creatività. Ne emerge una figura di grande spessore, un letterato che, a dispetto delle sue convinzioni, ha dei punti di contatto con il “modernismo” (anche se detestava cordialmente T.S. Eliot e James Joyce).

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Infine nel terzo volume (1928-2010) viene esaminata la parte finale dell’esistenza del Solitario di Providence. Sotto molti aspetti l’ultimo periodo della sua vita è anche il più interessante. Dal punto di vista narrativo raggiunge la piena maturità artistica portando alla perfezione il cosiddetto “orrore cosmico”, sorta di ponte fra il racconto weird e la fantascienza qui definito “Arte cosmica non soprannaturale”. Lovecraft aveva infatti codificato un nuovo canone che lo avvicinava a una sorta di fantascienza nera che nessuno in futuro ha mai veramente emulato. E qualcuno non ha ancora capito la portata della sua arte e detesta la sua produzione. Tuttavia è stato Jacques Bergier ad avvicinarsi di più alla verità definendo in maniera calzante Lovecraft “un Edgar Allan Poe cosmico”. Lovecraft, d’altra parte, pur non raggiungendo i livelli stilistici di Edgar Allan Poe non è poi così lontano, nei suoi migliori momenti, dal suo maestro. Se non fosse stato per August Derleth la sua opera avrebbe rischiato di essere dimenticata per molto tempo. Anche se poi Derleth ha completamente travisato il senso della sua opera dando un’impronta cristiana ai “Miti di Cthulhu” a cui ha applicato i concetti di bene e male. Stupiscono, in questo volume, alcuni giudizi dati da S.T. Joshi sulla produzione di Clark Ashton Smith e Robert E. Howard, ritenuta troppo pulp e non all’altezza di quella di HPL. Non so come la prenderanno i fans di Howard e CAS ma, sinceramente, mi trovo d’accordo con il punto di vista di S.T. Joshi. Lo stile di Clark Ashton Smith è troppo ridondante e, come giustamente osserva Joshi, deriva dal fatto che lo scrittore fondamentalmente era un poeta.

Del resto non è tenero neanche con i successori visto che definisce Stephen King “uno scrittore horror da soap-opera”.Si parla poi diffusamente della conversione al socialismo di Lovecraft nell’ultima parte della sua vita. In ogni caso questo non vuol dire, come si è discusso recentemente, che in futuri sarebbe diventato ancora più di sinistra. Anzi Lovecraft rimase fondamentalmente un razzista per tutta la vita, come scrive S.T. Joshi e come ha giustamente sottolineato Michel Houellebecq nel suo prima citato saggio H.P. Lovecraft: contro il mondo contro la vita. L’ultima parte di questa biografia ci spiega come HPL continui ad essere visto anche oggi, pur con tutte le contraddizioni di cui ho parlato sopra, come una figura di culto. Era e resterà un “outsider” come profetizzato da uno dei suoi primi racconti. Alla fine quello che rimane è la sua opera.
I volumi sono a cura di Giacomo Ortolani mentre in appendice troviamo un’accurata bibliografia a cura del bravo e competente Pietro Guarriello in cui vengono inseriti tutti gli scritti (anche gli articoli di giornale) scritti da Lovecraft. Io sono Providence è un’opera essenziale per tutti gli appassionati del Solitario di Providence.
[Cesare Buttaboni]



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