Zeder

Regia: Pupi Avati
Cast: Gabriele Lavia, Anne Canovas, Paola Tanziani, Cesare Barbetti, Bob Tonelli, Ferdinando Orlandi, Enea Ferrario
Soggetto: Pupi Avati
Sceneggiatura: Pupi Avati, Maurizio Costanzo, Antonio Avati
Fotografia: Franco Delli Colli
Montaggio: Amedeo Salfa
Scenografia: Giancarlo Basili, Leonardo Scarpa
Costumi: Steno Tonelli
Produzione: Francia
Durata: 1:35
Anno: 1983

Trama

Stefano, scrittore in cerca della pubblicazione e, soprattutto, dell’idea “buona”, riceve in regalo dalla moglie, Alessandra, una macchina da scrivere usata. Non appena la prova, ne viene fuori un nastro, che riporta i testi stilati dal precedente proprietario: uno di essi parla di un enigmatico “terreno K”. Lo scrittore si reca allora dal professor Chesi, docente all’Università di Bologna e studioso dell’occulto, il quale gli spiega che i terreni K, scoperti da un apolide, Paolo Zeder, sono terreni che permetterebbero il ritorno dall’aldilà a chi v’è sepolto. Intenzionato sempre più a conoscere la verità, Stefano continua ad indagare, fino a scoprire che un’organizzazione di francesi sta già sperimentando, nell’ex-colonia di Spina, i reali poteri dei terreni K grazie alla salma di Luigi Costa, un ex-sacerdote ossessionato dall’argomento che, prima di morire, aveva espresso la ferma volontà di farsi seppellire in quei terreni. Luigi Costa è tornato in vita? Stefano lo scoprirà; ma a caro prezzo.

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Recensione

Ciò che immediatamente si nota guardando Zeder è l’intenzione di Pupi Avati, già sperimentata ne La casa dalle finestre che ridono, di confezionare un horror atipico, che risalta le atmosfere, il senso di mistero, di angoscia, invece che le scene ad effetto, sanguinolente o disturbanti, quasi assenti nella pellicola. Essa, infatti, si fonda prevalentemente sull’indagine che Stefano, protagonista del film, svolge al fine di saperne di più sui cosiddetti terreni K, un’indagine costantemente avvolta da un alone misterioso, cupo, e che, nei suoi momenti più pericolosi, regala allo spettatore scene di pura suspence.
Interessante ai fini dell’intreccio è la vena noir del film: i terreni K interessano infatti anche ad un’organizzazione di francesi, che opera con l’avallo di organi dello Stato e coinvolge anche persone molto vicine a Stefano e ad Alessandra, tutte interessate a impedire allo scrittore di scoprire la verità. Questa sorta di complotto ordito alle spalle di Stefano da persone insospettabili, anche amici o conoscenti, genera un senso di claustrofobia, la sensazione che lo scrittore si sia ficcato in un gioco molto più grande di lui, da cui è impossibile uscire.

E’importante notare poi come Pupi Avati sia riuscito a creare una trama coinvolgente attorno ad un tema trito e ritrito nell’horror, ossia quello dei morti viventi, senza cadere nel banale o nel già visto. I morti viventi di Avati non tornano in vita grazie a virus o radiazioni, non si cibano (topos ormai logoro) di carne umana, non sono alla stregua di vegetali. Inoltre, ciò che contribuisce molto a fare di Zeder un ottimo horror, è l’incomprensibile violenza con cui i morti viventi si scagliano contro gli uomini. Avati non spiega perché i morti, una volta fuori dai terreni K, uccidono i vivi, lasciando che a rispondere alla domanda sia lo spettatore.
Anche in Zeder si nota l’attitudine di Avati a credere che l’orrore si annidi nel quotidiano, e che nessun luogo, anche quello più periferico, ameno, ridente, ne sia immune. L’indagine di Stefano parte, infatti, da una macchina da scrivere ricevuta in regalo per l’anniversario di matrimonio. Una delle parti più inquietanti del film, l’incontro con la sorella non vedente di Luigi Costa, avviene a Rimini, una delle città che più difficilmente si associa, per ovvi motivi, all’angoscia e al mistero. E la colonia di Spina, vuota e diroccata, dove si svolge la parte finale (e più sanguinosa) del film, era, molti anni prima, un luogo dove i bambini andavano a trascorrere le vacanze.
Molto belli la colonna sonora, delirante, frenetica, e i commenti musicali, che si sposano alla perfezione con il susseguirsi delle immagini.
Voto: 9/10
(Salvatore Napoli)



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