Chiara Palazzolo - L'intervista

Chiara Palazzolo (Catania, 31 ottobre 1961 – Roma, 6 agosto 2012). Vincitrice del Premio Teramo per la narrativa inedita, ha esordito nel 2000 con il romanzo "La casa della festa" (Marsilio). È tra le scrittrici scelte da Francesca Pansa per il calendario 2003 "Le fate sapienti".
Con la trilogia di Mirta/Luna ("Non mi uccidere", "Strappami il cuore" e "Ti porterò nel sangue") ha riscosso un tale successo che prossimamente dai suoi libri verrà tratto un film.

OPERE PUBBLICATE

2003 - I bambini sono tornati (Piemme)
2005 - Non mi uccidere (Piemme)
2006 - Strappami il cuore (Piemme)
2007 - Ti porterò nel sangue (Piemme)

L'INTERVISTA

[DN] L’attesissimo capitolo finale della saga di Mirta/Luna, “Ti porterò nel sangue”, non sembra affatto una conclusione. Troppi misteri ancora irrisolti, troppe situazioni lasciate in sospeso, troppi nuovi personaggi lanciati in campo. Cosa devono aspettarsi, per il futuro, i fans della bella e feroce Sopramorta?
[CP] La trilogia è conclusa. Quello che mi premeva raccontare era la formazione-trasformazione della protagonista nel passaggio dalla “viva” e ingenua Mirta alla spietata sopramorta Luna. Da questo punto di vista, la protagonista conclude il suo ciclo iniziatico, approdando alla consapevolezza di un io adulto e autonomo. Se ho adottato la formula del finale aperto, è solo perché credo che nessuna storia si concluda mai del tutto. Voglio dire, il romanzo contemporaneo porta in sé la coscienza che nulla è per sempre. Che la provvisorietà di qualsiasi conclusione è cifra della modernità, e non escamotage per andare avanti in un infinito sequel.

 

[DN] “Ti porterò nel sangue” è diverso dai suoi due predecessori, “Non mi uccidere” e “Strappami il cuore”: lo stile è sempre rabbioso e schizofrenico, ma sembra esserci un maggior controllo delle situazioni violente, più introspezione e, soprattutto, il romanzo è pervaso da un senso di fatalismo agghiacciante. In diverse scene riverbera un goticismo moderno che però affonda le sue radici in un terreno molto profondo...
[CP] Beh, non so se si tratti proprio di fatalismo. Diciamo che il problema della libertà, dell’autonomia, è centrale in questo romanzo. Mirta-Luna, attraverso cui tutta la vicenda è filtrata, sente moltissimo l’aspirazione alla libertà, e quindi subisce ogni evento come una costrizione e una limitazione. Perfino l’amore. Non dimentichiamo che si tratta di una ragazza, una ventenne che si muove in situazioni estreme. E come tutte le persone giovani vuole decidere da sé che cosa fare della propria vita (o non vita, è lo stesso). E’ proprio in questa tensione tra il bisogno di libertà della protagonista e la “gabbia” in cui il mondo esterno vuole rinchiuderla, che si gioca la partita principale del romanzo. E lo scontro tra le due istanze è sanguinoso, come sempre è sanguinosa la giovinezza.

 

[DN] Quale ti aspetti che sarà la reazione dei tuoi lettori a “Ti porterò nel sangue”?
[CP] Di questo non ho idea. Non è che quando si scrive si pensa alle “reazioni”. Sarebbe micidiale. Bisogna concentrarsi sul romanzo, cercare di fare un buon lavoro. Comunque, capisco che la trasformazione di Mirta in Luna è traumatica. Alcune giovani lettrici mi hanno scritto di essere rimaste sconvolte dall’incontro-scontro con Robin e soprattutto dalla durezza finale di Luna. Che alla fine invoca addirittura le “regole d’ingaggio”, al pari di un reduce dall’Irak. Meglio così. Io non volevo certo raccontare una tenera love story. Questa è una trilogia horror. Dura, cupa e cattiva.

 

[DN] Prima di Mirta tu eri una scrittrice importante del panorama letterario italiano. Dopo Mirta, per un gruppo di lettori neanche esiguo sei diventata una piccola leggenda. Un fatto più unico che raro per chi si cimenta con l’horror. Qual è il segreto?
[CP] Non so se ci siano segreti. So solo che ho lavorato con uguale impegno sia ai libri precedenti che alla trilogia. La questione dei generi, secondo me, è poco rilevante. In fondo, si può scrivere di tutto. Dipende dall’ispirazione. Ogni romanzo nasce, o dovrebbe nascere, da un’idea forte - l’ispirazione appunto. Qui l’idea forte era proprio Mirta. Quindi, se proprio c’è un segreto, è dentro Mirta. Devo dire che è un personaggio strano, molto forte, che ha impressionato me per prima.

 

[DN] Il film sulle gesta della “zombie più amata dagli italiani” si sta facendo attendere. Quanto dovremo aspettare ancora?
[CP] Non molto, credo. Gli accordi di produzione sono piuttosto laboriosi per qualsiasi pellicola. In più, prima di dare l’avvio alle riprese i produttori volevano visionare l’intera trilogia, per non incorrere in incongruenze tra libri e film. Comunque l’uscita del film è prevista per il 2008. Speriamo bene.

 

[DN] Ti stai ancora riprendendo dalle fatiche del romanzo o stai già lavorando, magari a qualcosa di totalmente nuovo e diverso?
[CP] Diciamo che al momento mi sto disintossicando da Mirta. E’ stato un impegno totalizzante. Qualcosa di nuovo... beh, ho un’idea. Ma sta ancora prendendo forma. So per esperienza che in questi casi bisogna aspettare, lasciare che “la cosa” cresca nell’ombra, far finta di nulla, non cercarla neppure. Al momento buono, ci penserà lei a trovare me.

 

[DN] Hai avuto il grandissimo merito di aver restituito al genere horror nuova dignità, nell’ambito della difficile situazione editoriale italiana. Cosa ti sentiresti di consigliare agli aspiranti scrittori che tentano di seguire le tue orme?
[CP] Sincerità con se stessi, in primis. Chiedersi: voglio scrivere un horror oppure voglio raccontare “questa” storia? Nel primo caso, si tratta spesso di un’aspirazione generica, nata magari sulla scorta di buone letture di genere, ma che in nulla tocca la propria storia personale. Altra cosa è sentire l’urgenza di raccontare quella determinata storia che ti è venuta in mente e non ti lascia, anzi finisce con l’ossessionarti. Senza questa “necessità”, secondo me, scrivere è una perdita di tempo. Meglio leggere, allora, se non altro è più divertente e ti espone a meno delusioni. Detto questo, se la storia c’è, ti continua a frullare in mente, non ti abbandona eccetera, allora bisogna scrivere. Ma con tutto l’impegno possibile. Facendo più stesure. Scrivendo e riscrivendo fino a che non si è soddisfatti.

I testi di questa pagina e l'intervista sono stati gentilmente realizzati da Domenico Nigro.

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