Luna di sangue

Disteso sul mio letto e questa chiassosa città che striscia come un serpente batte forte il suo egoismo contro le mie vetrate.
Posso osservare la luna, rossa, sembra dipinta con il sangue.
Dalle mie parti si dice che quando la regina delle tenebre assumeva questo tipo di tonalità era tempo di caccia, caccia notturna.
Verso chi?
Forse è meglio se non ne faccio menzione, potrei togliere il sonno a qualche persona.
Il mio nome è Peter Mone.
Oggi sono un commerciante, un piccolo negozietto a due passi da casa.
Oggi ho 76 anni e aspetto la morte come il cane aspetta il ritorno del padrone.
No... non sono infelice, la felicità è solo un’utopia, ma io ho vissuto appieno le cose che volevo. Anni fa vivevo in un vecchio ranch, lontano da questo turbinio di macchine e smog.
Ero un cacciatore. Uno di quelli che andavano a stanare gli orsi fin dentro le loro tane... non storcete quelle bocche, non uccidevo solo per il gusto di farlo.
Mi mettevo in moto quando c’era qualche bestia pericolosa in giro che dava fastidio ai pascoli. Uccidevo per commissione, di contadini, gente del paese.
Un killer.
Non sono mai stato un tipo facilmente impressionabile.
Ma quella sera... Dio solo sa quello che i miei occhi videro.

Mancava poco alla mezzanotte, il vento rumoreggiava come acqua sulla scogliera, ululava trasportando la polvere dei campi e il crepuscolo era un tappeto cosparso di stelle, talmente perfetto che sembrava fatto di cartapesta.
Stavo mettendo a posto il fucile mentre il camino scoppiettante rendeva le ombre della mia casa grandi e minacciose, come demoni in agguato. Era inverno, e questo lo ricordo bene. Decisi di andarmi a coricare, quando qualcuno bussò alla mia porta in modo violento, chiedendo aiuto.
Chiesi chi fosse e dalla parte opposta della grossa porta di legno una voce spaventata da uomo mi disse “ho qualcosa da raccontarle, ho qualcosa per lei Mr. Mone... ci sono bestie che neanche immagina, c’è bisogno di un cacciatore”.
Quelle parole mi scossero e non poco. Quando aprii la porta, un ragazzo sulla ventina sembrava uno zombie sul punto di svenire. Viso pallido, occhi scavati e una brutta ferita golosa di sangue campeggiava sul suo braccio desto.
Lo feci accomodare, cercando di rassicurarlo.
Gli chiesi di raccontarmi cosa era accaduto e lui riprese subito possesso delle sue capacità, mi guardò con gli occhi del terrore, occhi che mai più dimenticherò e iniziò.

 

Scott, questo era il nome del ragazzo, vagava per i campi insieme ad altri due amici, Riky e Smith. Dopo essersi fatto il pieno di birra in paese, erano venuti nei boschi per consumare altra birra e far un po’ di baldoria.
La neve quel giorno non era caduta, e il manto bianco era soffice e povero. Tutti notarono la luna color sangue, come avvolta da un panno cosparso di liquido rosso.
Fermarono la macchina vicino ad un piccolo ruscello, un scorcio d’acqua che nessuno aveva mai visto e che nemmeno il sottoscritto sapeva dell’esistenza. Vicino al ruscello c’era un enorme albero completamente privo di fogliame.
Era alto e si stagliava contro il cielo come una statua di marmo in un cimitero.
Scott ripeté più volte che in quel posto non c’erano rumori. Era tutto fermo, come se il tempo avesse arrestato la sua corsa. Il suo racconto divenne frammentario.
Riky si accorse di uno squarcio nella corteccia dell’albero, grande come una porta. Si avvicinò e invitò gli altri a seguirlo.
«Ragazzi... cazzo, sotto quest’albero c’è una specie di tunnel, avanti!»
Disse ad alta voce, sentendo il suo eco che lo avvolgeva come le mani di un fantasma.
«Non credo sia una buona idea... io quest’albero non l’ho mai visto, e poi che cosa ne sappiamo che animale può esserci lì dentro!»
Commentò Smith.
Una folata di vento gelido attraversò l’aria che stavano respirando, facendoli rabbrividire. Poi tutto divenne nuovamente immobile, come se l’intera natura che li circondava fosse finta.
I tre ragazzi si ritrovarono a pochi centimetri dall’entrata.
«Qui c’è una porta!»
Disse Scott.
La scostò docilmente con il palmo della mano. Il legno cigolò dolcemente e la porta si aprì quasi da sola.
«C’è nessuno!»
Urlò Riky nella cavità di tenebre, ridendo come un demente.
«Aspettate, prendo una torcia nell’automobile!»
Disse Smith.
A passo lento e in fila indiana si incamminarono in questa misteriosa galleria che sembrava essere venuta fuori dal nulla. Il fascio di luce illuminò alcuni insetti intenti a nascondersi al loro passaggio. Camminarono per circa cinque minuti. Si ritrovarono al centro di un’immensa grotta.
«Cazzo che scoperta ragazzi!»
Esclamò Riky, come un bambino che aveva appena scartato il regalo nuovo.
Qui Scott iniziò a tremare e il suo racconto divenne confuso e delirante.
Qualcosa si mosse nella grotta, Smith riuscì a illuminare un angolo lontano e la luce portò in vita una specie di scimmia... aveva delle braccia lunghe, molto più delle gambe, sulle quali camminava ad un’elevata velocità.
Le orecchie appuntite come quelle di un pipistrello e la bocca scrigno di una miriade di piccoli denti appuntiti.
La bestia ci scrutò dalle sue tenebre ed emise una lamento che ci mise in fuga. Non trovammo il pertugio che ci aveva permesso di entrare nella grotta. C’eravamo persi dove non era possibile perdersi. Altri esseri simili vennero fuori dalle cavità dense di buio. Un ruggito più forte si fece spazio nella grotta.
Una strana luminescenza rese tutta la cavità di pietra visibile. Una sagoma alta più di due metri venne avanti a passo lento. Il corpo ricoperto da una pelle trasparente che permetteva di vedere tutto quello che c’era al di sotto, vene, sangue e organi. Sembrava la pelle di un pesce. La testa era ovale e gli occhi grandi e senza palpebre, il naso due grandi fessure, e la bocca solo denti che si consumavano l’uno sull’altro.
L’essere si fermò a pochi centimetri da noi. Una risata sottile come la lama di un rasoio echeggiò nello spazio che ci circondava.
Una vecchia comparve quasi dal nulla, tenendo a bada ogni creatura che si mostrava.
Continuò a raccontarmi i dettagli di tutte le strane bestie che videro, ma non ricordo tutto, a causa del suo incedere indeciso nei fatti accaduti.
La megera aveva capelli bianchi e lunghi e arruffati.
Un viso cosparso di rughe, pelle simile a carta vetrata. Occhi bianchi senza pupille e denti neri e poveri.
La strega avanzò con fare lento e più lei avanzava più le altre creature si andavano a nascondere nell’oscurità. La luce innaturale che illuminava il posto non cessava di vivere, colorandosi di volta in volta di blu, rosa, azzurro, verde.
«E così c’è qualcuno che viaggia!»
Disse la vecchia, e la sua voce corse veloce sotto la pelle dei ragazzi, come delle formiche.
«Che cosa vuole?»
Scott trovò il coraggio di aprire bocca.
«Io... che cosa voglio? Ahahahah... vi domando una cosa, dove siete?»
La megera li osservava con quegli occhi in cui non c’era vita.
«Siamo entrati nell’albero e ci siamo ritrovati qui!»
Ancora una risata della vecchia strega che mosse un bastone nell’aria.
Delle sagome cosparse di peli e con delle enormi zanne iniziarono ad avvicinarsi.
Scott notò che nella caverna, in alto, delle forme volavano battendo delle enormi ali. Ricordò solo di essere riuscito a scappare.
Che le creature avevano preso i suoi amici, e di essersi ritrovato fuori la mia porta.

 

Mi invitò a seguirlo.
Troppo sconvolto per mentire, pensai.
Mi armai di fucile e pistola e ci immergemmo nel crepuscolo che issava la sua bandiera color sangue, alta nella notte. Sapevo che quando la luna era rossa non bisognava uscire nei boschi, non bisognava cacciare. Ma qualcuno aveva bisogno di aiuto e io non mi sarei certo tirato indietro. A passo spedito attraversammo la fauna.
Una notte strana quella. Non c’era rumore oltre quello dei nostri passi frenetici tra le foglie. Arrivammo in un punto che io non avevo mai visto.
L’automobile dei ragazzi era parcheggiata vicino al ruscello che Scott mi aveva descritto.
Mi avvicinai furtivo, e cercai di seguirlo per vedere dove conducesse, ma pochi metri dopo l’acqua con il suo moto si perdeva nel nulla. Iniziava nel nulla e si perdeva nell’assoluto niente.
Era come se quel breve scorcio d’acqua fosse uno spettro.
Poi vidi l’albero. Maestoso, i rami sembravano braccia di scheletri che si ergevano cercando di catturare le stelle. Scott con un gesto della mano mi indicò la porta.
Ma non so perché capii che non c’era bisogno di scendere per scovare quell’incubo, c’eravamo già dentro.
Quel pezzo di terra, era qualcosa che si trovava fuori dal mondo. Sparai dei colpi di fucile verso l’albero, i proiettili lo attraversarono come se la sua corteccia non fosse altro che una proiezione. La porta si aprì da sola.
E tempo pochi minuti ci trovammo circondati da creature strane e meravigliose al contempo. La megera si fece strada, era come Scott l’aveva descritta.
Il ritratto di un’angoscia.
Subito dietro di lei c’erano degli strani quadrupedi con delle corna piccole e appuntite, avevano un solo occhio e camminavano possenti su zampe enormi.
Mi feci coraggio e dissi alla megera che avevo capito, che io e Scott saremmo andati via e mai più ci saremmo permessi di scorazzare nei boschi nelle notti di luna piena, quando il sangue grondava nelle sue cavità.
«Qualcuno di saggio ho adesso sentito... ci sono porte che si mostrano e esseri che escono a caccia solo in queste notti... chi le apre ci rimane, chi li incontra ci si scontra... ma adesso lascerò che andiate, perché qualcuno ha già pagato!»
La vecchia finì di parlare e Scott pensò ai suoi amici trattenendo a stento le lacrime.
Io e Scott non ci vedemmo più.
Le notti di sangue furono numerose, e numerose le persone trovate morte nel bosco, attaccate da qualche bestia dicevano i contadini.
Bussarono soventi alla mia porta, cercando i miei servigi. Tutto questo mi portò a lasciare la campagna, i boschi e venire qui.
Loro non capivano e mai l’avrebbero fatto e avrebbero continuato a morire.

 

Ci sono notti in cui non dormo.
Chiedendomi il perché dell’esistenza di questi mondi paralleli, perché bestie come licantropi affollano i boschi in cerca di carne umana. Sono fuggito, rispettando la natura e le sue leggi.
Ed ora, è una di quelle notti. Prego che nessuno sventurato si senta tanto coraggioso. Che nessun ragazzetto vada nei boschi, perché uscirne vivi è un privilegio per pochi.
Tutti i cacciatori sanno la storia della luna di sangue.
È stata tramandata e tramandata e così è diventata leggenda.
Grazie anche a me... che forse ho mentito. Entrando in quella dimensione parallela mi è successo qualcosa.
Forse non ho 76 anni, ma molti, molti di più, forse questa leggenda è nata grazie a me e Scott.
E si sa l’eco delle leggende colpisce come se un velo di verità si posasse sopra loro.
Posso dire che la luna di sangue da allora ha fatto poche vittime, perché anche chi non crede alle leggende ha paura della realtà.
Lo specchio riflette un uomo sulla cinquantina. Mi chiedo se mai morirò e se il mio posto non sarebbe più probo varcando una di quelle porte.
Se mischiandomi a loro non sia diventato qualcosa di loro.
Non voglio essere seccante, ma a volte il caos che c’è in città è davvero assurdo.
Sono in piedi e dal terzo piano della mia abitazione osservo automobili impazzite e vecchi beoni che si accasciano sul ciglio dei marciapiedi.
Spero di aver fatto azioni buone, stanotte... il sonno non arrivava e vi ho raccontato qualcosa che potrebbe salvarvi dall’inferno.
La luna di sangue mi osserva, sembra che stia ridendo, di me, del mondo con il quale gioca ogni qual volta mette la sua maschera rossa.
È tarda ora, apro la finestra e sotto di me il silenzio è solido. Coltre di nubi viaggiano nere.
Ho il corpo ricoperto di peli, zanne e ho fame... forse sto continuando a prendevi in giro, da cacciatore a preda... o forse sempre cacciatore. Dipende dai punti di vista.

Francesco Borrasso