Sepulcro

Non mi era mai capitato di rimanere sorpreso dalla pioggia autunnale mentre camminavo nella periferia della mia città.
Mi piaceva passeggiare e sovente partivo dalla casa che affittavo nel centro storico e mi dirigevo verso i confini del centro abitato.
La tenue pioggia che improvvisamente era scesa con l'imbrunirsi del cielo mi aveva raffreddato velocemente e, trovandomi ben oltre le ultime piccole fabbriche abbandonate che circondavano l'abitato, mi guardai intorno cercando un riparo.
Non conoscevo bene quella zona, sebbene non avessi mai abbandonato la mia città natale in tutti i quarantatre anni che avevo vissuto.
Oltre lo stradone, il cui asfalto si stava sbriciolando sotto alla pioggia aumentata d'intensità, vi era una vecchia casa costruita completamente in legno, marcia ed abbandonata che però poteva fornirmi da riparo.
Non sapevo da quanti anni quel fabbricato fosse abbandonato ed ignoravo persino il suo utilizzo, in un luogo così isolato. Poteva sembrare un ripostiglio per degli attrezzi, al suo interno vi erano diverse mensole in legno ed alcuni attrezzi rotti.
Vi era una pala, una vecchia carriola arrugginata con delle pietre al suo interno.
Sapevo che, di tanto in tanto, qualche curioso entrava per dare un'occhiata ma non avevo altre informazioni su di essa.
Il tetto era però marcio e molta acqua si infiltrava attraverso le assi deteriorate. Mi avvicinai verso la finestra sulla parete opposta a quella da cui ero entrato.
Osservando il pavimento pareva essere quello il punto più asciutto e l'acqua, incanalata, grondava ai lati di dove mi ero soffermato.

Al di là dei vetri rotti e delle assi piegate vidi il piccolo giardino che si estendeva dietro al capanno.
Un fulmine rischiarò il cielo permettendomi di riconoscere delle sagome mostruose ed inumane emergere dal terreno circostante.
Rimasi immobile e senza fiato fino al lampo successivo. Mi sforzai di mantenere lo sguardo fisso nella direzione dove vidi la sagoma più vicina a me al fine di non sprecare i pochi istanti di luminosità che avrei avuto a disposizione per osservare il giardino.
L'acqua, impregnata nei miei capelli, mi colava sul volto e sovente dovevo fregarmi gli occhi per liberare loro la visuale.
Il fulmine arrivò accompagnato da un avvolgente boato, segno che il temporale era proprio sopra la città.
Esso non mi colse impreparato. L'illuminazione mi fu sufficiente per distinguere degli alberi secchi e delle croci conficcate nel terreno, divenuto fangoso.
Stringendo gli occhi per migliorare la mia visione notai anche delle lapidi e moltissimi rovi.
Fu in quel momento che mi tornarono alla mente i racconti dei miei nonni, i quali mi avevano cresciuto come genitori, sul vecchio cimitero abbandonato al di fuori della città e delle strane e macabre leggende che si raccontavano.
Era un luogo ormai dimenticato da tutti ed io mi trovavo nel ripostiglio degli attrezzi del becchino.
Forse qualcun altro avrebbe avuto paura, o si sarebbe sicuramente turbato, ma io ero forte. La mia mente era sana ed io non avevo paura. Non provavo mai paura.
Penso che l'orribile scena che vidi da bambino mi abbia alla fine aiutato ad essere più distaccato dal mondo e dalla vita comune. Credo che quello che tutti reputavano fosse un trauma si sia rivelato, in fondo, un modo per potenziare le difese della mia mente, qualche cosa capace di aprimi nuove visioni e di abbattere le barriere della razionalità.
Puntualmente ogni notte sognavo quella scena. Ogni notte rivivevo, dagli occhi di bambino che ero, la morte dei miei genitori.
Li sentivo litigare, urlare ed udivo i tonfi dei loro corpi sbattuti contro i mobili della loro stanza. Mi ricordo, mentre li osservavo impaurito dietro alla porta, che mio padre raccolse un candelabro in argento e prese a colpire il capo di mia madre, caduta in ginocchio dinnanzi a lui.
La reminiscenza dei suoi lunghi capelli dorati intrisi di sangue mentre cadeva a terra per non rialzarsi mai più mi fa compagnia ogni notte.
L'immagine delle schegge di osso che saltavano via dal suo cranio, fracassato dagli incessanti colpi inferti da mio padre, mi danno uno strano ed incomprensibile senso di pace e di tranquillità.
Per fortuna che ho superato quello shock.
Ricordo che, all'epoca, spaventato e confuso, corsi verso il caminetto dove raccolsi l'attizzatoio e poi che tornai di corsa nella camera dei miei genitori.
Mio padre stava ancora accanendosi infuriato su quello che una volta era il capo di madre, ormai divenuto un ammasso informe di carne e pelle contenenti briciole di ossa.
Egli notò la mia presenza e si voltò osservandomi. Gocce di sangue si stavano rapprendendo sulla sua barba che amava e curava come il bene più prezioso che possedesse.
Mi fissò dritto negli occhi e rise. Sulle sue mani vi erano appiccicati brandelli di carne e di sangue e, nella sinistra, impugnava ancora saldamente il candelabro.
Lo stesso candelabro che i miei nonni conservarono, ripulirono dai pezzetti di cervello e dal sangue e che ora io custodisco a casa mia sul mio comodino, accanto all'attizzatoio con il quale uccisi mio padre, perforandogli lo stomaco dopo essergli saltato addosso.
Di ciò che accadde in seguito ho solo un ricordo vago. So di per certo che mio padre non morì subito, ma anzi, si dissanguò lentamente soffrendo atrocemente mentre io lo osservavo spegnersi in una lunga agonia.
Credo che nessun altro bambino al mondo avrebbe superato una situazione simile senza conseguenze come fortunatamente accadde a me.
La mia mente è forte.
Tutti questi pensieri mi avevano distolto dal fatto che un'improvvisa nuova breccia si era aperta nel tetto sopra di me e che avevo ripreso a bagnarmi.
Decisi quindi che il tipo di protezione offertami da quel capanno era pressoché inesistente per cui mi diressi verso il cimitero, approfittando del fatto di essere arrivato fin lì per vederlo di persona.
Procedendo lentamente a causa del fango che ad ogni passo tentava di imprigionare le mie scarpe potei capirne la conformazione.
Era una superficie delimitata da un basso muretto circolare che correva tutt'intorno alle tombe.
Mi sembrava che esistessero tre file concentriche di grandi alberi, ormai morti e spogli, a decorare l'ambiente disseminato da antiche sepolture.
Al centro del cerchio vi era una piccola collina. Su di essa un sepolcro che, dall'aspetto e dal suo degrado, mi apparve molto antico.
Sebbene la pioggia non avesse smesso ne avesse diminuito di intensità, pensai che sarebbe stato interessante osservarlo da vicino. Solo dopo alcuni minuti compresi di essere attratto da quel mausoleo mezzo diroccato.
Il cammino mi era reso difficoltoso anche per via dei rovi che ormai avevano avvolto ogni lapide che sporgeva dal terreno.
Alcune pietre sepolcrali erano spezzate e semi interrate, cosicché non potevo vederle, complice il buio dovuto alle spesse nubi ed alla sera che stava per lasciare spazio alla notte.
Ad ogni passo mi sentivo sempre più attratto da quella costruzione, alta e slanciata, decorata da strette colonne che sorreggevano una cupola che, dallo stradone principale non si poteva vedere nemmeno durante la giornata più soleggiata che fosse mai esistita, complici gli alti alberi morti che, sebbene fossero privi di foglie, con i loro fitti rami intricati ne impedivano la visione.
Salii con estrema cautela, per evitare di scivolare sui gradini lisci, la lunga scalinata che portava alla vecchia porta in ferro battuto decorata.
La porta era molto antica ed arrugginita, ormai sganciata da uno dei due cardini capaci di sorreggerla. Approfittai di quel fatto per tentare di penetrarvi all'interno.
Forzai il più possibile la porta, inclinandola verso l'esterno, nel tentativo di aprire un varco sufficientemente ampio per entrare.
Sfregai con forza la schiena contro la parete in marmo scuro alternato a granito nero ma alla fine fui in grado di entrare, facilitato dal fatto che l'acqua che il mio cappotto aveva assorbito l'aveva reso più scivoloso.
Non esistevano decorazioni. Solo un piccolo altare, sormontato da una croce trilobata in pietra di media grandezza, posto contro la parete che si trovava di fronte a me.
Tra me e l'altare vi era una scalinata che scendeva verso la cripta. Mi sorprese non poco il fatto di non trovare iscrizioni o epitaffi relativi a chi vi fosse sepolto e decisi di scendere sebbene la luminosità che mi avrebbe guidato sarebbe stata pressoché nulla.
La sensazione di non essere più colpito dalle violente gocce d'acqua che cadevano lasciò il posto al sentore di essere avvolto dall'oscurità più nera che potesse esistere.
Scesi una ventina di gradini e percepii un filo di vento gelido, mentre i miei occhi, per quanto spalancati che fossero, non erano in grado di apprezzare alcun oggetto presente nella cripta.
Compresi di aver raggiunto la fine della scalinata quando i miei piedi calpestarono un sottile strato di fango. Evidentemente l'acqua piovana si infiltrava dall'esterno fino a stagnare sul terreno argilloso che costituiva la pavimentazione di quell'ambiente ipogeo.
Distesi entrambe le mani in avanti ed iniziai a procedere. Maledissi il fatto di non avere con me alcuna fonte di illuminazione, nemmeno un dannato accendino, quando, improvvisamente, urtai contro una fredda colonna circolare. Si trattava senza dubbio di una delle colonne portanti con il compito di sorreggere la struttura sovrastante.
Le girai intorno, attratto verso una particolare direzione. Incespicai contro un gradino, forse un basamento sul quale poggiava una lunga cassa di pietra porosa.
La tastai a lungo, sentendo che l'attrazione che provavo per quel posto era proprio dovuta alla sua presenza. Sebbene la pietra fosse fortemente erosa e consumata, non esistevano tracce di targhe o indicazioni su chi vi fosse contenuto, nemmeno sul coperchio.
Oramai rapito dal momento che stavo vivendo decisi di rimuoverne il pesante coperchio in pietra, per tastarne il misterioso contenuto.
L'azione mi serbò qualche difficoltà, dovuta al peso del massiccio coperchio che potevo spostare di circa un centimetro ad ogni strattone che davo.
Quasi all'improvviso esso cadde e per un puro miracolo non mi fratturai una gamba nell'impatto. Il sordo tonfo echeggiò nell'ambiente e risuonò per alcuni istanti, dandomi l'impressione che la cripta fosse molto più ampia di quanto avessi immaginato.
Da quel momento ebbi la fortuna di poter vedere nell'oscurità con la mente e non con gli occhi, divenuti, in quella circostanza, organi inutili.
Dapprima in modo flebile ed ovattato, ma ben presto con contorni sempre più definiti, ero in grado di cogliere gli elementi che mi circondavano.
Non so se, a questo punto, sia ancora sensato adoperare il verbo "vedere", o se invece dovrei adoperare "percepire" o "avvertire", ad ogni modo ero in grado di vedere la cripta come fosse giorno.
Vidi la pavimentazione, argillosa come avevo immaginato, le colonne che si congiungevano in una bassa volta a botte ed infine il sarcofago in pietra.
Le sue pareti erano spesse almeno una spanna. La sua lunghezza era di almeno tre metri e mezzo e la sua larghezza era di un metro abbondante.
Al suo interno vidi delle ossa molto grandi, i resti di un corpo che poteva appartenere ad un gigante.
La forma delle sue spoglie lasciava immaginare che i resti avessero un'anatomia umana, sebbene di dimensioni spropositate.
Prese singolarmente le sue ossa potevano essere scambiate, da un neofita, per ossa di vitello o di qualche altro grande animale ma posizionate così com'erano all'interno del suo avello davano l'orribile impressione di essere umane.
Mi soffermai a guardarne il teschio e notai due strane protuberanze sul cranio, come fossero due corna. La mia attenzione fu attratta immediatamente dopo dai suoi denti, lunghi ed aguzzi come quelli di un predatore.
Avvicinai la mano per tastarne il capo, nel tentativo di capire se quello che avevo visto erano effettivamente due corna o se si trattava semplicemente di incrostazioni calcaree incollatesi al carbonato di calcio delle sue ossa.
La mano mi divenne tiepida e poi si continuò a scaldare, fino a raggiungere un calore per me insopportabile. Mi sentivo quasi imprigionato da quell'evento e non ero in grado di ritrarre l'arto il cui calore continuava ad aumentare.
La carne che rivestiva le ossa della mia mano iniziò a sciogliersi ed alcune gocce di essa, frammista al sangue che circolava al suo interno, caddero sulle ossa di quella creatura.
Al primo contatto con i suoi resti si sprigionò del fumo ed il miscuglio di carne gli si fuse sulle ossa.
Fu proprio in quel momento che caddi all'indietro, come se quell'essere mi avesse liberato da una presa invisibile. Compresi subito quale era il mio compito.
Quell'essere, quella cosa, aveva bisogno di carne per risorgere ed io dovevo aiutarlo, mi aveva donato l'apertura mentale, la vista con la mente.
Quando il dolore alla mano si allentò notai che essa non si era troppo deformata e che solo un paio di dita ed una piccola parte di palmo si erano disciolti ma compresi altrettanto bene che, medicandola accuratamente, sarebbe infine guarita.
Uscii dal sepolcro e poi ancora dal cimitero. Mi diressi verso casa dove medicai la mano velocemente ma con la dovuta precisione, per poi uscire nuovamente alla ricerca di qualcuno da sacrificargli.
Vagai nel cuore della notte lungo le vie più deserte della mia piccola città ma con scarsi risultati, fino a quando vidi, accanto ad un lampione, una prostituta di mezza età in attesa di un cliente.
La avvicinai e mentre ella iniziò a parlarmi, le conficcai un pugnale nello stomaco. Esanime si accasciò a terra.
Ora il problema era ben più grave del previsto. Mi trovavo ad almeno dieci chilometri dal cimitero e non disponevo di alcun mezzo di locomozione se non una vecchia bicicletta arrugginita che non adoperavo più da almeno vent'anni.
Non potevo portarmi il cadavere a spasso per la città, così, prima che qualcuno ci notasse, le amputai gli avambracci adoperando il pugnale come sega all'altezza dei gomiti ed un telo per proteggermi dai lapilli di sangue. Avvolsi gli arti nel telo e li nascosi sotto al lungo cappotto liso che indossavo abitualmente.
Il cadavere lo lasciai abbandonato a se stesso, in un vicolo poco frequentato non molto distante dal luogo del delitto, nella speranza di ritardarne il ritrovamento.
Mi incamminai così verso il sepolcro mentre la pioggia stava diminuendo la sua intensità.
Lungo la strada non vidi molte persone, solo alcuni ragazzi nei pressi di una delle ultime fabbriche abbandonate che discutevano su dove andare a divertirsi dal momento che la pioggia aveva rovinato loro la serata.
Mi ripromisi di passare a trovarli al mio ritorno.
Disceso nella cripta estrassi gli avambracci della puttana dal telo e li lasciai cadere sulle ossa della creatura all'interno del sarcofago.
Osservai del fumo uscirne. Un sottile strato di pelle mista carne si stava lentamente avvolgendo su tutte le lunghe ossa dell'essere formando esili tendini e sottili legamenti debolmente irrorati di sangue.
A quel punto la mia mente udì una frase: "Ancora". Ebbi la conferma che la mia azione era quella corretta e che dovevo continuare con il portargli della carne per permettergli di riformarsi.
Decisi così di tornare nei pressi della fabbrica dove avevo visto quei ragazzi, ma, ancora all'interno dell'antico cimitero vidi un gatto nero che dormiva accanto ad una lapide rotta.
Mi armai di un ramo ed, impugnatolo come un bastone, colpii la bestiola uccidendola sul colpo. Mi precipitai nuovamente al sepolcro e gettai il micio al suo interno.
Una nuova fumata accompagnò il mio gesto.
Il silenzio che prese il posto allo sfrigolio della fusione fu interrotto da quello che fui in grado di udire con la mente: "Carne".
La mia nuova attività si protrasse per diverse notti e lentamente la creatura acquistava una forma, sempre più completa ed, al contempo, raccapricciante.
Nella piccola cittadina la polizia stava indagando sugli strani omicidi accompagnati dalle altrettanto bizzarre amputazioni ma senza avere una minima traccia. Nessuno poteva sospettare di me.
Dopo tredici notti la creatura mi sembrava completa. Dopo avergli donato gli ultimi pezzi di carne che avevo strappato dal corpo di una piccola bambina, egli si destò.
I suoi occhi rossi, dalla pupilla verticale e gialla si aprirono ed egli si alzò seduto nel suo sarcofago.
Una voce gutturale e roca entrò nella mia mente: "Grazie. Mi hai risvegliato. Ora sta a me insegnarti l'alternativa."
Il sangue mi si ghiacciò nelle vene. "Co… cosa sei? Sei un demone?" Gli chiesi.
"Tu credi in Dio?" Mi chiese. "Beh, so che esiste." Gli risposi intimidito. "E così crederesti anche nel Diavolo, vero?" "Sono stato così educato…" Gli dissi con il tono di chi doveva scusarsi, anche se non ne comprendevo la ragione.
"Cancella tutte le tue stupide idee. Ora sei pronto per sapere la verità, l'alternativa. Il bene ed il male non esistono. Esiste l'energia pura ed esistono i suoi utilizzatori. Io sono un'entità. Rispetto a voi mortali posso immagazzinare una quantità molto superiore di energia per piegarla al mio volere."
Sembrava che mi spiegasse cose che sapevo inconsciamente da sempre ma delle quali mi mancava un segno tangibile per potervi crederci completamente.
"Anch'io posso attingere a questa energia pura?" Gli domandai incuriosito, mentre l'imbarazzo dovuto alla sua presenza cominciava a svanire.
"Sì. Ma solo dopo l'iniziazione." "Di che cosa si tratta?" "Hai paura? Avverto che non ti senti a tuo agio." Mi rispose. "No. Non ho paura. Sono incuriosito…" "Non mentire." "Beh, forse sì, forse un po'."
"L'iniziazione è il processo che ti aiuta ad aprire la mente e a sfuggire a tutte le stupidate che ti hanno insegnato e passato come religione." "Cosa devo fare?" "E' diverso per ogni persona. C'è chi la raggiunge con la semplice meditazione, quella che voi chiamate preghiera. C'è chi ha bisogno di ricevere l'illuminazione da un iniziato, attraverso un rapporto sessuale, quello che voi chiamate rito satanico o messa nera." "Ora incomincio a comprendere… Quello che è giunto alla nostra società non è altro che un deforme storpiamento della verità primigenia."
"Tu andrai a dormire e nella notte avrai un segnale. Se sarai in grado di coglierlo avrai raggiunto l'illuminazione e ti si spalancheranno le porte della mente." "Ho capito. Grazie." "Non ho finito." Aggiunse con tono imperativo. "Uscendo da qui distruggi la croce che mi intrappola qua sotto. Ora vai." "Ma se le religioni sono solamente delle buffonate, anche la croce cristiana non vale nulla." "Non è la forma dell'oggetto, è l'energia che esso possiede ad essere temibile. Un mio nemico, due secoli addietro mi imprigionò qua sotto grazie a quel sigillo, caricandolo di energia. Vai."
Risalii la scalinata con lentezza, come se in realtà non avessi più voluto abbandonare quel luogo. Mi soffermai dinnanzi all'altare e spinsi la croce fino a farla cadere a terra, dove si spaccò in sei pezzi, più alcuni frammenti minori. Ne raccolsi uno.
Dalla cripta sotto di me nacque un urlo liberatorio di un'intensità agghiacciante che mi fece tremare. Ma io non avevo paura. La mia mente era distaccata da queste cose.
Mi diressi verso casa dove, in breve, mi addormentai.
Trascorsi una notte agitata e confusa. Fui soggetto ai soliti incubi, ma non sognai nulla che si sarebbe potuto identificare con il tanto atteso segnale.
L'indomani tornai al sepolcro, senza preoccuparmi di fami vedere da troppe persone nei pressi dell'antico cimitero abbandonato.
Entrai nuovamente nella cripta e con stupore non vidi più quel demone all'interno del sarcofago aperto. Ma solo alcuni brandelli di carne, un gatto nero in decomposizione, alcune frattaglie di una bambina morta e parecchi altri pezzi marci di gente da me uccisa.

Luigi Bavagnoli