Cave mortem

Racconto per il concorso "Premio Scheletri", 2015 - edizione 7

Lacrime sulle guance, voce stentata. Mi parla sottovoce.
«Ci avevamo lavorato per mesi, era bellissimo, un'idea originale, ci eravamo buttati anima e corpo per realizzarla. Non c'erano feste né domeniche, ci svegliavamo con la voglia di ricominciare. D'inverno, nel capannone, l'acqua per la cartapesta si gelava nei fusti. Non ci importava, le sere dopo cena io e Franco eravamo lì, io e lui, con le mani rosse di freddo a modellare quello che sarebbe stato il nostro capolavoro.»

 

Occhi spenti, gemiti in gola. E i ricordi.
«Questa volta il Palio dei carri lo avremmo vinto noi, lo sentivamo. Nessuno aveva osato creare un carro di carnevale con un soggetto simile. Lui era un vero artista, ne aveva fatto uno schizzo su un grande foglio. Pareva di averlo già davanti agli occhi. Il carro più originale della storia del carnevale della nostra città. Tutto segreto, pochi amici fidati ad aiutarci. A dicembre quello che sembrava un sogno era quasi realizzato. Il capannone ingombro di latte di vernice. A differenza degli anni precedenti, erano quasi tutte dello stesso colore.»

Ombra nera su di noi. Incombe.
«Ricordo il momento in cui il carro entrò in piazza. Gli sguardi della gente, stupiti, fissavano il nostro capolavoro con ammirazione e sorpresa. Mai si era vista a carnevale, nel regno del colore, una cosa simile. Un carro di carnevale sì, ma un carro funebre. Un grande furgone nero con croci argentate sui fianchi e sopra, incombente, la figura della Morte. Una vecchia vestita di nero, con una grande bocca imbronciata e la falce scintillante in mano. E, per contrasto, musica, danze, balli. Tanta allegria per esorcizzare la morte. Avevamo pensato a tutto, anche a piccole bare in legno da regalare al pubblico.»

 

Giorni felici tanto lontani. La morte soffia.
«E poco dopo accadde. Le nuvole cominciarono a crepitare. Le prime gocce di pioggia ci raffreddavano il viso. Se si fosse messo a piovere, avremmo ritirato i carri in modo che la cartapesta non si rovinasse. Ma tutto accadde in pochi secondi. Un fulmine accecante colpì l'asta della falce della Morte. Feci in tempo a vedere la lama, che avevamo fatto forgiare in metallo perché fosse più realistica, staccarsi dal manico che la sorreggeva e piantarsi nel corpo di Franco. I suoi occhi mi fissavano mentre il sangue lo abbandonava imbevendo quella carta di giornale che avevamo modellato insieme. E poi si chiusero.»

 

Labbra che tremano. Cuore che corre.
«Mi hanno detto che è stato un incidente, una casualità, ma io non ci credo. Non avremmo dovuto prendere in giro la Morte, guarda bene il carro.»

 

Accende la fioca luce al neon che rischiara il capannone, alzo lo sguardo, capisco cosa intende. La massa di cartapesta dipinta di nero mi appare in tutto il suo sinistro incanto. La bocca della Morte, deformata, aveva disegnato sul volto un ghigno pauroso. Forse la cartapesta si era bagnata creando quella smorfia. O forse no.
E poi sento quel rumore.

Lodovico Ferrari