Il primogenito

Racconto per il concorso "Premio Scheletri", 2015 - edizione 7

Guardai lei con l’amore di sempre anche se il suo volto era ormai devastato dalla Malattia. Profonde occhiaie attorno ai suoi occhi, il pallore delle sue guance ed i capelli arruffati sparsi sul cuscino, erano per me i segni evidenti che presto mi avrebbe lasciato, che presto si sarebbe trasformata. Eravamo sopravvissuti alla Malattia per lunghi mesi da quando il morbo aveva iniziato a mietere le sue vittime. Uscivo solo quando le mie provviste terminavano e la mia, la nostra fortuna, era che abitavamo vicino ad un supermercato, che riuscivo a raggiungere in modo veloce e relativamente sicuro. Mia moglie non usciva più di casa da settimane, o almeno così credevo fino a quando non iniziò a manifestare i primi sintomi della malattia. All’inizio attribuì quei sintomi alla gravidanza. Era uno strano gioco del destino il nostro: avevamo cercato di avere un figlio per anni senza mai riuscire a concepire, ed ora, proprio quando il mondo intero si trovava a combattere contro la Malattia, proprio allora ci eravamo resi conto del bimbo che Elena portava in grembo. Passato il primo momento di sgomento, iniziammo a gioire per quella nuova vita che presto sarebbe venuta al mondo, anche se il mondo non sarebbe stato un posto bello e sicuro in cui nascere. Poi lei mi confessò tra le lacrime di essere uscita di casa un giorno in cui ero andato a cercare nuove provviste: voleva solo prendere una boccata d’aria, voleva solo ritagliarsi la normalità di una passeggiata. Fuori il sole era quello di sempre ed il calore sulla sua pelle le diede una sensazione di calore e di euforia. Sarebbe diventata mamma, solo questo ormai contava per lei e immersa in questi gioiosi pensieri non si accorse dell’ombra che lenta e incerta si avvicinava. Solo un graffio, non era stata davvero morsa, ma quel graffio era stato lo stesso fatale.

Non me lo aveva raccontato se non quando ormai i sintomi erano diventati evidenti. Non potevo più aiutarla, nessuno poteva più:
Aprì gli occhi e cercò la mia mano. Gliela strinsi. “Il bambino...” riuscì a mormorare. La rassicurai, il bambino sarebbe presto nato ed io mi sarei occupato di lui. Riuscivo a percepire il grande dolore che lei stava provando e piansi. Dal corpo morente di mia moglie una nuova vita stava uscendo. Lo accolsi tra le mie braccia. Un maschio. Ora ero padre. Nello stesso istante mia moglie mi lasciò. Avvolsi il bambino nella coperta che avevo preparato accanto al letto e iniziai a cullarlo. Aveva gli occhi di Elena, mentre i capelli scuri li aveva presi da me. Piangeva come fanno tutti i neonati, piangeva per aver perso la calda sicurezza del grembo materno, piangeva perché si trovava in un mondo ostile e sconosciuto. Piangeva perché aveva fame. Ero suo padre spettava a me nutrirlo. Con il coltello che portavo alla cintura prima colpii alla testa con decisione la mia Elena, poi tagliai il mignolo della mia mano sinistra. Lo porsi alla bocca spalancata e famelica di mia figlio.

Amelia Baldaro