Nella buona e nella cattiva sorte

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2014 - edizione 13

La guardo mentre aspetto che si risvegli e mi domando se una parte di lei sa ciò che sta per succederle; se la malattia, o quello che è, prima di ridare vita al suo corpo, in qualche modo tenga attive le funzioni cerebrali, come accade quando si è addormentati.
“È così, Anna?” chiedo sottovoce. “Stai sognando?”
Nessuna risposta. Il suo corpo giace immobile sul letto, con le braccia distese lungo i fianchi e gli occhi chiusi. Quando li riaprirà - perché so che lo farà, lo fanno sempre – io ci sarò.
Alzo lo sguardo sull’armadio: dietro le ante, in mezzo alla compatta muraglia di tessuto, c’è anche il sacco che contiene il suo abito da sposa. Diceva sempre che doveva portarlo in lavanderia.
“Alla fine è rimasto lì, non l’hai mai portato.” Sorrido.
Poi osservo la pistola che ho rubato al nostro vicino, l’idiota con la fissazione delle armi. Mi fa impressione, per questo non ne ho mai avuta una.

Il sole sta calando. Mi chino e le do un bacio sulla fronte.
Le avvicino la canna sulla tempia. Nell’istante in cui il metallo le sfiora la pelle, lei apre gli occhi. È ancora immobile, ma i suoi occhi sono irrequieti, scandagliano la stanza, infine si fissano su di me.
Una lacrima riga la mia guancia. Premo il grilletto. Il cane colpisce l’otturatore.
Click.
Solo uno scatto metallico. Nessuno sparo.
Allora il cadavere di mia moglie sorride e io realizzo che ho dimenticato di caricare il colpo in canna. Cerco di rimediare, ma Anna - o qualunque cosa sia ora - è più veloce. Il suo sorriso si allarga.
Nella buona e nella cattiva sorte, si era detto.

Oreste Patrone