Smaltimento rifiuti

Racconto per il concorso "Premio Scheletri", 2014 - edizione 6

Fu tornando dal pub, quella sera, che accadde. Bob non seppe dare un nome a quella sensazione: fu una nitida percezione di sé, quasi si osservasse con gli occhi di un altro. E ciò che vide non gli piacque. C’era solo una parola per descriversi: parassita. Ma anche piaga sociale e inutile e ozioso scarto dell’era Playstation andavano bene. Ecco, magari più d’una. Farina del sacco del suo vecchio. Lo zelo fatto persona, il signor Marsh! Un uomo che conosceva il dovere: contribuire a oliare il sistema, e scaricare gli inutili nel cesso.
Fanculo, non sono un parassita! sbraitava il suo pallido alterego, che ora lo osservava truce dal riflesso opaco d’una vetrina.
Allora non pensi che l’intera società occidentale sia un fottuto cancro?
Ma ora, mentre la notte soffocava la città, quel pensiero, nato nel tempo d’uno schiocco di dita, germinava e stravolgeva ogni cosa: ragazzo normale; tac! cancro dell’industriosa comunità del Maine. E tra le sonnacchiose luci dei lampioni e le sbiadite sagome di edifici avvolti nella foschia, Bob scorgeva ora un’operosa macchina produttiva.
Sia lodato il dio dell’utilità, salmodiava uno stinto ricordo di suo padre, e proseguiva con un alza il culo da quel cazzo di divano e trovati un lavoro.
Amen, papà!
Provò il forte impulso di chiedere perdono, e masticò quelle parole mentre la sua mente proiettava l’immagine di una molla difettosa che intralcia un ingranaggio molto più grande.
Poi li vide: tubature, una rete di condotti che correva lungo le strade, grovigli annodati a pali della luce ed appiccicati alle mura delle case. No, non tubi. Quei cosi erano fatti di carne, e grossi bozzi violacei pulsavano sulla loro superficie. Parevano enormi cordoni ombelicali, all’interno dei quali qualcuno o qualcosa stava pompando cibo, a giudicare dal costante espandersi e ritrarsi della carne.

Non c’erano prima, giusto?
Ma la botta lo stordì; e poi il nero.
Lo svegliò il forte sferragliare. Qualcosa lo trascinava per un piede, costeggiando uno di quei cordoni. Il tizio indossava una strana tuta grigia, e una maschera dai grandi occhi rossi che mandava lievi sbuffi.
“Oziosi figli di puttana! Inutili creature” Le imprecazioni giungevano come interferenze radio.
Loro non vogliono dell’inutile ferraglia, e tu questo sei: un pezzo difettoso, buono a niente! Anche Dan lo era, e guardami adesso. Porto loro quelli come te. Non è bello, ma ehi! Non puoi fare sempre ciò che vuoi nella vita, giusto?”
Quella specie di tubo terminava in un imponente edificio, un tempio d’ingranaggi e pistoni. Bob sentì le forze abbandonarlo quando ne adocchiò l’estremità: un’enorme bocca, con file concentriche di denti metallici.
“Tutto deve avere uno scopo nell’universo, così dicono ai piani alti. E loro sono qui per correggere gli errori”
No, ti prego! Perdonami papà! Ma le urla si tradussero in gemiti lagnosi, e i respiri in ansiti febbrili.
Poco prima di essere inghiottito da quelle fauci stridenti, udì il suo aguzzino urlargli: “gli inutili si scaricano nel cesso!”

Innocenzo Casale