L'appeso

3° classificato al concorso "Premio Scheletri", 2013 - edizione 5

Ricordo solo che il veicolo blindato su cui viaggiavo fu ribaltato da un'esplosione, poi persi i sensi e quando mi ripresi ero steso a terra su di una sporgenza semicircolare di roccia, sospesa su di un enorme pozzo all'interno di una qualche sorta di segreta.
Rimasi lì per ore, certo che sarei morto di fame, sete o decapitato davanti a una telecamera.
Ma avevo un problema più immediato, avevo infatti già cominciato ad avvertire i primi sintomi dell'astinenza: le mie mani tremavano, sudavo copiosamente nonostante il freddo pungente e sapevo che presto sarebbe arrivata una crisi.
Fu allora che un uomo incappucciato calò una sorta di piccolo ponte levatoio e si avvicinò. Ancor prima di poter distinguere l’oggetto che aveva tra le mani, ne percepii chiaramente il profumo.
Mi porse una scodella e io l’afferrai e ne bevvi avidamente il poco contenuto. Era un qualche tipo di acquavite, non certo Gin, ma che importava, ne avevo disperatamente bisogno, ne implorai ancora e lui mi disse che avrei potuto averne quanto ne volevo, se solo avessi confessato ovviamente.
Io urlai che ero colpevole, avrei detto qualunque cosa per quel lurido liquido, il cui solo odore avrebbe indotto in vomito la maggior parte delle persone.
Fu allora che si tolse il cappuccio e potei vedere il suo volto: da un viso scarno emergevano grandi occhi gialli, era privo di naso e al posto della bocca aveva una sorta di sfintere che si apriva e chiudeva ritmicamente.

Ma ciò che più m'inorridì fu la sua pelle traslucida, sotto la quale sembravano agitarsi migliaia di piccole larve nere.
Persi allora i sensi e quando mi risvegliai ero appeso come un insaccato a un palo metallico, conficcato nella parete alle mie spalle. Di fronte a me si estendeva una lunga striscia di cemento, delimitata ai lati da muri in pietra e in fondo da una costruzione sempre in pietra, con al centro una grossa porta in legno.
Ero nudo e disidratato, il vento del deserto mi sferzava dolorosamente il corpo pieno di ferite e la testa sembrava sul punto di esplodermi.
Mi chiesi che altro volevano e perché mi torturassero ancora.
Volevo solo morire...
Poi, la porta di legno si aprì e ne uscì un uomo armato di una grossa e antica balestra e fu a quel punto che alzando lo sguardo al cielo compresi.
Il Sole, al culmine del suo percorso nel cielo, era tagliato a metà dall'asta a cui ero appeso e la cui ombra si estendeva lungo tutto il mio corpo.
Ero appeso allo gnomone di una grande meridiana, che in quel momento indicava il mezzogiorno, ora prefissata per la mia esecuzione.
Fissai il mio carnefice negli occhi e proprio quando era sul punto di scagliare la freccia la porta alle sue spalle esplose, travolgendolo.
Seguirono una serie di colpi assordanti, flash accecanti e raffiche di armi automatiche che sibilarono nel denso fumo, dal quale emerse un soldato che correva verso di me urlandomi qualcosa.
Anche se stordito ne riconobbi subito gli stemmi sulla divisa, ero salvo, l’esercito alleato aveva espugnato la prigione segreta.

Simone Babini