Nessuno e' al sicuro

Nessuno è al sicuro. Una frase semplice che Monia si ripeteva come un mantra da quando l’avviso a reti unificate dell’ apocalisse l’aveva messa in fuga con milioni di persone sulla statale diretta a nord. Tutti verso nord, verso l’entroterra, via dal mare, via dalle onde assassine dello Tsunami che era stato previsto. Quando si fugge da una catastrofe non si ha niente in testa, anche la paura sembra mitigata, il corpo diventa privo di dolore e segue la mente terrorizzata verso la salvezza. Nessun posto è sicuro durante l’apocalisse, se il mondo finisce tu ci sei dentro. Racconti di mostri popolavano ora la mente di Monia, mentre premeva sull’acceleratore per lasciare la costa il più in fretta possibile. Colonne di macchine nella sua stessa condizione affollavano l’autostrada tutte dirette verso la stessa direzione, la presupposta salvezza fra i colli dell’Appennino. Il vento soffiava contro il parabrezza sibilando e formando mulinelli che alzavano sabbia e polvere, l’aria era densa tanto che era difficile distinguere i contorni delle cose ma si procedeva a sensazione, notando gli ostacoli all’ultimo momento, un attimo prima di scartarli. E spesso gli automobilisti più lenti di riflessi non avevano il tempo di sterzare e finivano dritti contro l’oggetto da evitare, così che loro stessi diventavano il bersaglio di altre macchine che stavano dietro e si formavano chilometri di tamponamenti a catena che intasavano le corsie della strada. Colonne di fumo si alzavano dai cofani delle vetture incidentate, nuvole nere che si addensavano in cielo e andavano ad ingrossare la foschia minacciosa diluvio e distruzione.

Monia scappava da tutto questo, cercando di non cadere nel panico dribblava tutti gli impedimenti che le si presentavano davanti e teneva le orecchie tese sulle informazioni trasmettesse alla radio come se queste l’avessero potuta salvare o almeno guidare fuori da quel casino. Cartelli stradali, mattoni e alberi si staccavano da terra, sradicati dalla furia del vento e diventavano proiettili da evitare, si libravano in cielo come uccelli trascinati dalla corrente. Gli animali avevano abbandonato la regione giorni prima, si erano visti stormi d’uccelli volare sopra l’area anche loro diretti a nord. L’autostrada sembrava non finire mai, ogni viadotto, ogni uscita di galleria era una sfida contro la forza centrifuga esercitata da quell’aria impazzita. “Nessuno è al sicuro” si ripeteva Monia mentre freddo sudore le rigava le tempie e lottava per non cedere al tremore delle mani come se la consapevolezza di vivere una condizione comune le rendesse più sopportabile tutto quel terrore. Passando vicino alla zona industriale vide l’acciaieria che come un mostro ardeva ancora la sua fornace anche con pezzi di rotaia e altri oggetti indistinguibili a distanza che volavano e andavano a schiantarsici contro. Di certo qualcuno là dentro aveva due mostri contro cui combattere. Finalmente il casello, cattedrale laica apparve al fondo della strada, nonostante la stazza anch’esso vacillava e Monia accelerò al massimo per passarvi attraverso senza il timore di vederselo crollare addosso. Il peggio sembrava essere passato, il mare era lontano e l’attendeva una strada stretta e tortuosa che conduceva alla montagna. Monia voleva salire nel punto più alto per mettersi in salvo, voleva il punto più alto e ripido dove l’acqua non avrebbe mai potuto allagare e uccidere. In quella strada altre macchine andavano alla ricerca della stessa cosa, altri fuggiaschi correvano a piedi sfidando il vento impetuoso con i cani fedeli che seguivano i loro padroni abbaiando disperati, tutti diretti verso quel punto di quiete che man mano che si proseguiva sembrava sempre più lontano. Fino a quando tutto cessò di colpo. Inaspettatamente. L’aria si fece improvvisamente ferma, il cielo divenne luminoso e bianco e chi correva dovette fermarsi abbagliato dalla luce improvvisa e chi guidava rallentò la corsa timoroso e meravigliato da quello spettacolo sinistro. Monia non ebbe il coraggio di fermarsi totalmente, ebbe paura che bloccandosi non sarebbe mai più ripartita, come se fosse la corsa a tenerla in vita. Continuò ad avanzare lentamente ma con moto perpetuo, evitando le altre macchine ferme, sfilando impassibile davanti ai volti sconvolti di quelli che avevano corso fino ad un attimo prima. Poi si sentì un urlo e fu come se tutte le persone della terra avessero urlato all’unisono e di schianto una massa d’acqua grandissima si riversò in quel preciso punto. Molti annegarono senza accorgersene, alcuni tentarono in vano di nuotare ma l’urto e il peso di quell’acqua gli succhiò l’ossigeno dai polmoni e cessarono di vivere in pochi secondi. Le macchine furono ribaltate e galleggiavano sull’onda come paperette in una vasca da bagno. Non c’era più strada, non c’era più salita solo acqua fangosa giunta dal mare, che aveva viaggiato chilometri ed ora in quella valle trovava conforto. Non c’era più nulla di quello che c’era un momento prima e aveva impiegato millenni per formarsi, era tutto finito. E Monia era sepolta sotto metri di fango e non aveva avuto nemmeno un istante per dire, prima che tutto finisse “nessuno è al sicuro”.

Chiara Borghi