Il vetraio

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2012 - edizione 11

Nella calle San Michele s’apre un portone nella cui corte vive un artigiano. Di lui si racconta sia stato a Parigi, nelle fucine di Versailles, incaricato dallo stesso re di forgiare specchi e vetrate.
Lo chiamano il Francese e la sua bottega, un tempo, lavorava giorno e notte. A Venezia non esiste casa signorile che non abbia vetrata o servizio di bicchieri forgiati nella sua fucina.
Nel laboratorio per un periodo si alternarono apprendisti, artisti avidi di conoscere il segreto del vetro. Trascorrevano le ore con il vecchio, lo guardavano lavorare, lo aiutavano, spiavano ma nulla. Nessuno riusciva a capire quale fosse il mistero che rendeva le sue vetrate così meravigliose.

Il vetro, attraversato dalla luce, mutava la sua natura povera e si faceva prezioso. L’azzurro diventava zaffiro, il giallo oro, il rosso rubino, il verde smeraldo, e le figure sembravano prendere vita, respirare, gioire nella danza. Ed erano questi i soggetti delle sue vetrate. Rifiutava senza appello ogni commissione che richiedesse immagini con guerrieri o martiri. Rifuggiva dal Cristo in croce, rifuggiva dal dolore, dalla morte.
E così trascorrevano gli anni, e il Francese diventava sempre più vecchio, vecchissimo. Nessuno più ricordava di averlo visto giovane, e così di lui si cominciò a raccontare che conoscesse il segreto dell’immortalità.

Cristina