Lilith

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2012 - edizione 11

Mater Lacrimarum.
Una goccia calda e salata percorre la mia guancia fino a giungere all’angolo delle labbra. Ho ancora le braccia tese sopra la rupe, quelle stesse braccia che, pochi secondi fa, ti sorreggevano.
Ti ho sentito crescere dentro me come un cancro che si mangiava la mia giovinezza e la mia bellezza. Ti sei appropriato del mio corpo e, in nove mesi, lo hai sfigurato, distrutto. Non te lo perdonerò mai.

 

Mater Suspiriorum.
Ormai Il fumo attutisce la luce della lampadina del garage. Ti vedo a stento, figlio mio. La puzza del gas di scarico diventa sempre più insopportabile. La vita è crudele. Le speranze sono finite. Niente lavoro, né soldi, né casa. Ce ne andiamo in punta di piedi da questo mondo in cui nessuno ci compiangerà.

 

Mater Tenebrarum.
Non accenderò la luce. Ricordo il velluto della tua pelle, il mare dei tuoi occhi. E il tuo pianto e gli strilli e le notti insonni. Mi avvicino alla tua culla, ma non ti bacerò.
La luce è poca, scarsa. Solo una lama di coltello, sorretta dalla mia mano, brilla sopra il tuo corpo.

Mater Inferorum.
La vendetta, finalmente, è iniziata. La tua stirpe, Adamo, si estinguerà. Hai creduto di liberarti di me, Lilith, scacciandomi dall’Eden. Ero io la prima donna, quella da cui si sarebbe dovuto originare il genere umano. E mi hai preferito la sottomessa Eva. La tua stirpe patirà l’ira del demone Lilith. Sì, demone, perché in questo mi sono trasformata, un demone immortale, con un sogno: quello di sterminare tutta la tua progenie.
Saranno le madri stesse a sopprimere i propri figli maschi. Alle prime tre ne seguiranno altre, tutte le altre. La fine è iniziata, amato Adamo.
Un grido di civetta copre il suono del vento. Un pianto di donna si leva in lontananza.

Lodovico Ferrari