Tre giorni

Vincitore del concorso "Premio Scheletri", 2012 - edizione 4

Mi dispiace, gli aveva detto il medico quando era andato a ritirare gli ultimi esami della moglie. Quelle scartoffie erano la sentenza definitiva: la Donna stava per morire.
L’Uomo tornò a casa, salì in camera dalla Donna e la baciò sulla fronte mentre dormiva. Le persiane erano chiuse, ma si sentiva benissimo la pioggia che batteva sugli infissi. Pioveva senza sosta da giorni.
L’Uomo accarezzò la mano della malata e scese di nuovo in soggiorno. Si mise l’impermeabile e uscì sotto l’acquazzone. Sopra di lui, un cielo grigio piombo lo scrutava immobile.

 

Entrò nella serra e controllò le piante. Sembrava andasse tutto bene, a dispetto della forte umidità. Mentre tornava verso casa si ricordò dei due vasi di Calathea che aveva riposto lì fuori, sotto un telo di plastica. Le due piante erano morte: le aveva messe da parte, pronte per un viaggio in discarica.
Il telo, forse per colpa del vento, si era spostato da sopra il primo arbusto, che era stato esposto alle intemperie di quei giorni. Quello che vide l’Uomo fu una pianta nel pieno della salute, con colori vivi e sgargianti. Controllò quella che era rimasta asciutta: morta stecchita.
La pioggia, intanto, continuava a scendere.

Fece esperimenti su altre piante morte, lasciandole all’aperto: tutte tornarono ai loro antichi splendori. Un pomeriggio, dopo che il topo da laboratorio che aveva ucciso tre giorni prima aveva ripreso a correre, si precipitò dalla Donna per dirle tutto, ma non poté dirle nulla. Era morta da un’ora.

 

Stava piangendo mentre riempiva d’acqua piovana la pentola che aveva preso in cucina. Ne estrasse qualche millilitro con una siringa e andò da sua moglie. Le accarezzò i capelli, le sfilò i pantaloni e le fece l’iniezione.

 

Robert si fermò un attimo e tossì. I bambini seduti in cerchio lo stavano fissando, immobili.
«E poi?», chiese Jason. La fiamma della lampada a petrolio tremolava, riflessa nella sua iride.
«La Donna fu la prima. Poi ci furono tanti altri Uomini che capirono come fare e nonostante tutto non si arresero all’evidenza».
Robert li guardò uno a uno, negli occhi. «Per questo non lo farete mai, intesi?».
I bambini annuirono. La lampada si stava per spegnere, si era fatto tardi. Robert fece un cenno a Jasmine.
«Buonanotte, ragazzi. Jasmine adesso vi accompagna di sopra». I bambini salutarono e la ragazza li scortò nelle loro stanze. Robert si alzò da terra e chiuse gli occhi per un attimo, ascoltando l’acqua che picchiettava sulle finestre chiuse. Era molto stanco.
Si avvicinò ad una delle finestre e sbirciò fuori, tra un asse di legno e l’altra. Quelli che c’erano nel giardino stavano mangiando qualcosa, forse un cane. Sperò che fosse un cane.
Vide uno di loro venire verso la casa zoppicando, con brandelli di carne che gli uscivano dalla bocca. Aveva la pelle che sembrava cotta, qualcosa gli colava dagli occhi; un braccio si stava staccando dalla spalla.
Robert andò al tavolino e prese il taccuino
. 1474° giorno, scrisse. Esitò un attimo, poi aggiunse: piove.

Stefano Porta