Le pareti della mente

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2011 - edizione 10

L'uomo dormiva beatamente avvolto nel lenzuolo di cotone nero. Il suo corpo stava pregustando il riposo che il silenzio notturno gli avrebbe concesso fino alla nuove luci dell’alba.
Tutt’intorno a ogni cosa sembrava essersi assopita insieme a lui. Il frusciare indomito degli alberi aveva smesso di generare quel suono tipico di foglia alitata dal vento, e le luci dei lampioni circostanti si stavano smorzando paradossalmente fino a creare un buio pesto senza precedenti.
Anche la luna sembrava ritrarsi come inghiottita da un buco nero che divorando ogni minimo riflesso di luce, rendeva la stanza dell’uomo una sorta di realtà astratta e impalpabile.
L’unico rumore percettibile era il movimento meccanico della pendola che scandiva il tempo, secondo dopo secondo. Tutto sembrava sospeso in mezzo al niente in un’atmosfera bucolica mai accaduta prima. A un tratto un crepitio.

A seguire, un rumore ovattato provenire dalla soffitta stava presagendo un qualcosa d'indefinito avvicinarsi alla stanza da letto. L’intensità dei rumori stava aumentando gradualmente mentre le palpebre dell’uomo iniziarono a muoversi in modo irregolare e discontinuo.
I suoi occhi anche se chiusi, sembravano vedere qualcosa o qualcuno di spaventevole e terrificante incutergli timore e paura.
Un inatteso colpo di vento spalancò le finestre infrangendo i vetri. L’intonaco delle pareti della stanza iniziò a sbriciolarsi inesorabilmente, mentre i mattoni denudati cominciarono a muoversi su se stessi e poi in direzione del letto.
Il corpo dell’uomo rimaneva immobile come se afferrato da una forza oscura e incontrollabile che agiva direttamente nella testa attraverso i bulbi oculari.
Il soffitto e il pavimento cominciarono a muoversi l’uno verso l’altro come se attratti da un magnete posto in mezzo alla stanza.
Le sue palpebre iniziarono a schiudersi, le pupille rimpicciolirsi fino a prendere coscienza dell’imminente schiacciamento.
Un urlo straziante fu l’ultima cosa che si sentì.

Maurizio Setti