Egli

Il nero molosso mi stava fissando con uno sguardo inquietante. Il muso proteso verso il basso, i canini ben scoperti ed il ringhio costituivano un chiaro messaggio di avvertimento. Rimasi immobile mentre fredde gocce di sudore mi bagnavano la fronte e le mani. Avvertivo quell’oscura presenza avvicinarsi, percependone il pericolo incombente, ma non riuscivo a muovermi. Infine egli si manifestò, e seppure con il volto coperto da una benda provai un tale orrore per quella visione che fu come morire all’infinito, una interminabile agonia del corpo e della mente.
Mi svegliò il latrare furioso del cane dei vicini. Mi alzai dal letto liberandomi delle lenzuola e corsi in bagno per bagnarmi la faccia con acqua fredda. Mi avvicinai alla finestra della mia camera per vedere fuori che cosa stesse succedendo. Non accesi la luce, giusto per evitare di attirare l’attenzione. Per chi vive in aperta campagna certi atteggiamenti sono scontati, vengono attuati d’istinto, quasi senza pensarci.
La casa in cui abitavo, una vecchia scuola rurale che avevo comprato ad un’asta di immobili demaniali, presidiava un incrocio tra due strade vicinali. Dalla finestra potevo vedere l’intero crocevia, che risultava sgombro di mezzi e di persone. Eppure il vecchio setter della casa di fronte alla mia abbaiava con una tale intensità che mi sembrava impossibile non ci fosse nessuno. I suoi padroni, due fratelli ultracinquantenni che vivevano da soli e con l’abitudine di non andare a dormire senza aver fatto prima una visita alla loro cantina, ben fornita di rosso e di bianco della migliore qualità, non si sarebbero svegliati prima dell’alba per nessuna ragione al mondo. Le case più vicine si trovavano a parecchie centinaia di metri di distanza e chi vi abitava sicuramente stava dormendo senza preoccuparsi del motivo per cui quel maledetto cane stava abbaiando all’aria.

All’improvviso il setter ammutolì, e nel silenzio della notte cominciò a ringhiare prima in modo sommesso, poi sempre più intensamente ed infine con una ferocia inaudita, di cui non conservavo memoria.
Infine vidi. La luna, liberatasi dalle nuvole che fino a quel momento ne avevano schermato la luce, illuminò la contrada. Curvo, le labbra che lasciavano sporgere la dentatura digrignante, la bava biancastra che colava ampiamente dalle fauci, il ringhio che andava trasformandosi in un fievole guaito, il povero cane stava provando una terrificante paura nei confronti di qualcuno o qualcosa che evidentemente lo minacciava.
Tutto successe in così poco tempo che non riuscii a rendermi conto che ciò vedevo stava realmente accadendo, e fu come essere risucchiati all’interno di quell’incubo, vivendo lo stesso terrore. Ebbi timore per la mia vita e per la mia anima.
Vidi quel povero animale soccombere ad una forza invisibile che gli straziò la carne e lo ridusse ad un ammasso inerte privo di vita. Prima di morire mi guardò, e per un attimo quegli occhi impauriti si accesero dello stesso sguardo feroce del sogno. Fu allora che percepii la presenza di quell’essere malvagio, ed immediatamente cercai di nascondermi a lato della finestra. Non osai più guardare fuori, ed aspettai in silenzio la sua venuta, sicuro com’ero che egli era lì per me, per consentire al mio destino di potersi compiere. Aspettai tutta la notte, nella certezza che egli sarebbe di nuovo tornato a recarmi visita. Allo spuntare del sole abbandonai la mia postazione e mi buttai sul letto, sfinito da quella veglia infinita, Mi addormentai immediatamente. Egli era lì che mi aspettava e si stava togliendo la benda dal volto, ridendo di me e delle mie paure. Quando infine vidi la sua faccia, capii che era finita la vita ed iniziato l’inferno.

Nunzio Campanelli