Racconto velenoso

Marco scriveva racconti in terza persona.
Pigiava freneticamente sulla tastiera accucciato dietro al monitor che poneva come uno scudo tra sè e il resto dell’ufficio.
La pazzia e la scrittura erano comparsi simultaneamente nella sua vita, l’uno causa e conseguenza dell’altra.

 

Girava la notte seviziando animali, mutilando e uccidendo barboni, mignotte e travestiti, poi aspettava come un cane rabbioso con le bave alla bocca che albeggiasse, per poter correre in ufficio a vomitare sulla tastiera i suoi orrori.
Cominciò a spargere il suo seme nel web.
Spediva i suoi racconti a siti specializzati come scheletri.com e altri ancora.
Poi attendeva ansiosamente che venissero pubblicati e commentati.
Si divertiva a leggere le recensioni negative di quegli scribacchini, quegli imbonitori dell’orrore.
Marco li considerava dei damerini e rideva dei loro commenti forbiti, di quel loro tentare di classificare ciò che lui definiva l’inclassificabile dell’irrazionale.
Stupidi frocetti...
Li apostrofava tra sè e sè.
Al lavoro non faceva praticamente più nulla.
Passava la giornata piegato sulla tastiera scrivendo delle sue notti brave e dei suoi incubi allucinati.
La sua vita si era ridotta a un continuo uccidere e scrivere.
Dormiva poco, mangiava ancor meno, non parlava con nessuno.

 

Un mattino entrando in ufficio ci fu una sorpresa.
E questa chi cazzo è?
- Piacere... Norma, sono la tua nuova collega.
Un’altra troia, dove sarà finita quella cicciona ritardata di Irma?
- ... Prendo il posto di Irma, le hanno concesso il trasferimento che aspettava da mesi.
Ah già... il trasferimento...
Marco scivolò dietro la sua scrivania e si accucciò dietro al monitor.
Quella notte si era imboscato con una puttana ma al momento di pagarla l’aveva pestata a sangue.
Non sapeva con certezza se l’aveva lasciata viva o morta, ma lui preferiva immaginarsela morta.
Con l’aggiunta di qualche arma medioevale e una spolverata di soprannaturale il racconto era già bello e fatto.
Le sue mani scivolavano sulla tastiera e la sua mente era un fiume in piena, le parole fluivano copiose sul monitor e...
- Ieri sera sono andata al Copacabana, ci sei mai stato?
Stai zitta troia idiota..., dove eravamo rimasti? A già stavo scrivendo che...
- ... Ieri sera c’era un sacco di gente, figurati che ho dovuto chiamare un mio amico per farmi mettere in lista.
Cosa cazzo vuoi che me ne freghi, taci puttana...
- Magari lo conosci, quel mio amico, si chiama Matteo, faceva il pierre all’Hollywood, dove hai detto che vai a ballare tu?
Ogni qual volta Marco cercava una parola la voce di Norma irrompeva, ogni volta che tentava di forgiare un frase veniva interrotto da una sciocchezza, ogni suo abbozzo di creazione veniva abortito da quel continuo parlottare.
A fine giornata a Marco non restò altro che mezzo foglio di world mal scritto e una forte emicrania.

 

Nei giorni successivi il copione fu il medesimo. Norma passava da un discorso all’altro in un lungo monologo che iniziava dalle nove del mattino e si protraeva fino alle sei di sera.
Marco era sempre più isterico. L’emicrania più cronica e potente, la testa gli sembrava dovesse esplodere.
Erano già alcune settimane che alle scorribande notturne non seguiva un racconto.
Fu per questo che un mattino Marco si presentò al lavoro in anticipo con in tasca un botticino di cianuro.
Sarà la mia più grande opera.

 

Norma, la sera prima, aveva lasciato mezza bottiglietta di una bevanda energetica. Marco ci versò dentro il cianuro e poi la riappoggiò sulla scrivania della collega...
... Troia.
Si posizionò dietro al suo monitor e approfittando della tranquillità cominciò a scrivere il suo racconto.

Scrisse della sua pazzia, delle scrittura, delle sue storie pubblicate su internet e delle sue notti brave, scrisse della collega e del suo modo per liberarsene.

 

- Buongiorno! - disse Norma entrando in ufficio
Ciao puttana linguacciuta
Norma accese il computer, sposto delle pile di fogli e poi sistemò le penne sparse per la scrivania. Poi si alzò di fronte alla scrivania e suscitando una sorta di orgasmo in Marco afferrò la bottiglietta e bevve di gusto, poi lancio l’involucro vuoto nel cestino.
- Sei andata al Copacabana ieri sera? - esordì Marco sogghignando, poi si rimise e pigiare freneticamente sulle lettere della tastiera.
No, Norma la sera prima era andata al giapponese con delle sue amiche, cominciò subito a raccontare con dovizia di particolari l’esperienza orientale.
Erano passati una manciata di minuti quando Norma sembrò essere colta da una strana agitazione.
- Che hai Norma?
- Non lo so, è come se avessi un peso sul petto - poi colta da vertigini fece dei passi indietro sbattendo sulla scrivania.
Alcuni colleghi accorsero richiamati dal rumore.
Norma continuava a contorcersi stringendosi il petto.
Sopraggiunse una potente cefalea
- Mi sento così debole... - disse respirando affannosamente, poi lanciò un ultimo sguardo confuso e disorientato, prima di collassare.
Poco dopo era un cadavere.
Marco eccitato aveva scritto tutto, dopo diverse settimane era nuovamente riuscito a scrivere un racconto che aveva terminato con spettacolare sincronismo rispetto agli avvenimenti.
Ora non gli restava che porre la sua firma sotto al racconto.
Marco.

Marco Tarò